di Nathan Greppi
Dopo la Shoah, molti dei sopravvissuti ai campi di concentramento non hanno mai voluto raccontare ciò che avevano vissuto, nemmeno ai propri parenti. Altri, invece, l’hanno fatto solo dopo decenni, per togliersi un peso dal cuore e impedire che ciò che è successo finisse nel dimenticatoio.
Questo è stato il caso ad esempio di Ginette Kolinka, ebrea parigina che all’età di 19 anni venne deportata dai nazisti, e che ha iniziato a raccontare la sua storia solo a partire dagli anni ’90. In uno dei suoi incontri con gli studenti universitari in Francia, la sua testimonianza ha ispirato la giovane fumettista Aurore D’Hondt, che ha realizzato una graphic novel per raccontare la vita della donna.
Il volume racconta le vicende della giovane Kolinka, nata e cresciuta a Parigi in una famiglia ebraica non praticante, a partire dalla sua adolescenza, quando il suo ottimismo e il suo buon umore erano in contrasto con le preoccupazioni del padre, che al contrario di lei era sempre più conscio dei pericoli che stavano correndo. Dopo essere fuggite in un primo momento ad Avignone, passando dalla Francia occupata a quella governata dai collaborazionisti di Vichy, nel marzo 1944 venne scoperta assieme al padre, il fratello e un nipote con i quali viene arrestata.
In seguito, verranno deportati a Birkenau, mentre le altre donne della famiglia si salvano. Dopo essere stata trasferita prima a Bergen Belsen e poi a Theresienstadt, alla fine Ginette riesce a tornare a casa, unica superstite tra i deportati della sua famiglia. Troverà il coraggio di raccontare la sua storia solo dopo molti anni, quando era ormai vedova e anziana.
Diverse sono le scene cupe e strazianti, che non lasciano indifferente il lettore: per esempio, quando si trovano sui treni che li portarono in Polonia, dove venivano assiepati e trattati come animali. E poi quando, giunta al campo, la giovane vede il fumo delle ciminiere e scopre che i suoi cari sono già stati uccisi e cremati.
Lo stile grafico dell’autrice riporta alcuni elementi interessanti: nelle illustrazioni, in bianco e nero, i deportati e le persone perbene vengono generalmente rappresentati con occhi e bocca, mentre i soldati tedeschi e i gendarmi francesi sono privi di faccia, come se non avessero un’identità. Ciò sembra fatto con l’intenzione di dipingerli come figure prive di coscienza, che sanno solo eseguire gli ordini.
L’opera della D’Hondt riporta una storia cruda ma necessaria, che soprattutto di questi tempi ci ricorda cosa può succedere quando una società è accecata dall’odio.
Aurore D’Hondt, Ginette Kolinka. Testimonianza di una sopravvissuta ad Auschwitz-Birkenau, traduzione di Stefano Andrea Cresti, BeccoGiallo, pp. 240, 22,00 euro.