di Marina Gersony
Un uomo meschino, nazista fino alla fine, dipinto nel suo esilio argentino, tra noia e nostalgia
Sì, può essere proprio banale il Male, come scriveva Hanna Arendt. Come banale e miserevole deve essere stata la vita defilata di Ricardo Klement da esiliato in Argentina. Una vita passata a cincischiare in mezzo alla natura o a pranzare con qualche amico nei locali che gli ricordavano la dolce Baviera. Già, il bel tempo che fu… Meno male che dopo sette lunghi ed estenuanti anni di separazione sarebbero arrivati moglie e figli dalla Germania. Correva il 1952 e quel giorno il buon Klement, ringalluzzito, si mise alla ricerca di fiori in tutta Buenos Aires per accogliere la gentile consorte. Proprio il giorno che coincideva con la morte di Evita Perón, con l’intera Argentina in lutto… Un vero gentleman direte voi. Ma è risaputo, le apparenze ingannano. Dietro il volto del mite Klement si celava uno dei più grandi mostri e carnefici della Storia: sì, proprio lui, Adolf Eichmann, l’ideatore e responsabile delle deportazioni di massa degli ebrei nei campi di sterminio. La sua malefica storia è arcinota, ma non tutti conoscono la sua vita in esilio, i suoi pensieri sinistri, le sue debolezze, le sue meschinerie. Nel romanzo L’esecutore, l’autore Ariel Magnus focalizza la sua attenzione proprio su questi anni di esilio argentino; l’esilio di un aguzzino su cui incombe la minaccia del Mossad. Ed è così che l’autore ci rimanda l’immagine di un uomo affetto da manie miserevoli; un tizio qualunque dall’aria indifferente che nasconde un grande nulla e orrore (a proposito dell’indifferenza, diceva Elie Wiesel: «L’indifferenza, per me, è la personificazione del male supremo»). Probabilmente non c’è più niente da aggiungere su un personaggio simile, «un nazista convinto e fedele che crede di essere perseguitato dalla sfortuna e rivendica di continuo di aver fatto la cosa giusta, di avere semplicemente eseguito gli ordini come ogni buon patriota». Ancora una volta risuonano potenti le ormai famosissime parole di Hanna Arendt sulla banalità del Male. Perché solo il bene è profondo e può
essere radicale.
Ariel Magnus, L’esecutore, Ugo Guanda Editore, tra-duzione di Pino Cacucci, pp. 256, euro 18,00.