di Ilaria Myr
Il tempo della solitudine di Masal Pas Bagdadi.
«Si dice spesso che i vecchi sono come i bambini: come i piccoli, infatti, sono dipendenti da altre persone, anche se a loro manca la dose di creatività e vitalità tipica della giovane età. Come i bimbi, poi, non hanno la percezione reale del tempo. E se è tipico degli anziani non ricordare i fatti recenti, hanno invece spesso chiare memorie del passato, un’epoca per loro confortante, in cui ancora non erano soli». È su questi aspetti universali che si concentra il nuovo libro della psicoterapeuta Masal Pas Bagdadi, intitolato Il tempo della solitudine (Bompiani, pp. 144, 10 euro), nato quasi per caso durante le visite dell’autrice a una conoscente, residente alla Casa di Riposo della Comunità ebraica.
«Mentre andavo a farle visita, osservavo le persone che mi stavano intorno e man mano le scoprivo: tutte avevano voglia di parlare con me, perché in quel momento io mi interessavo a loro e per questo si sentivano importanti». C’è ad esempio la signora Adele, che racconta a Masal della “sua” Bologna, dove è cresciuta felice; c’è Nedo Fiano, sopravvissuto ad Auschwitz, che della memoria di quello che ha vissuto ha fatto la missione della propria vita, e che ora invece non ricorda più nulla, salvo, quando è turbato, delle parole in tedesco che urlavano i nazisti. Ma che, oggi come allora, canta divinamente con quella voce che gli salvò la vita nel campo di concentramento, dove cantava per i suoi aguzzini. E poi ci sono i parenti degli ospiti della Residenza: Roro, che va a trovare il fratello che fin da piccolo ha un ritardo mentale, o la signora persiana con il marito in sedia a rotelle dopo un ictus, che racconta all’autrice dell’Iran e della vita, spesso non facile, degli ebrei persiani.
Frammenti di vita passata e presente si inseguono in questo libro che fotografa con lucidità avvenimenti ed emozioni degli ospiti e dei loro parenti attraverso l’occhio interessato dell’autrice, donna sensibile dal passato difficile – a cinque anni scappa dalla Siria con la sorella, separandosi dai suoi genitori – e psicologa con un’esperienza maturata soprattutto con i bambini. «Dalla solitudine possono nascere pensieri creativi, che ti aiutano a sopravvivere e ad affrontare le difficoltà. Io quando ero piccola rievocavo tutti i personaggi della mia vita, dando loro vitalità; così gli anziani ritornano con la mente al loro passato, dove non erano ancora dipendenti da qualcun altro e potevano “fare da soli”: la dipendenza, infatti, crea sia nei bambini sia negli anziani una grande frustrazione». Eccoli quindi rievocare posti, cibi, profumi, parenti, e immaginare di essere in un altrove lontano nella loro vita. A fare da sfondo a tutto il libro, la Residenza per anziani della Comunità ebraica di Milano, descritta nelle pagine come un luogo solare, vivo, allegro, con il suo bel giardino, un “albergo a 5 stelle”, molto diverso dal luogo triste che è una casa di riposo nell’immaginario collettivo.