Foto in alto: Gerusalemme, esterno del Santo Sepolcro detto anche Basilica della Resurrezione (Foto di Fosco Maraini, proprietà Gabinetto Vieusseux © Archivi Alinari).
di Fiona Diwan
Gerusalemme sconfina ovunque nell’invisibile, una sacralità contesa fatta di pietre, uomini, luce, sangue, rame, piombo e ferro. Che cos’è un sasso rispetto a un uomo? Nulla, un frammento di sabbia rappresa. Ma se gli uomini passano, la pietra resta, e su di lei scorrono i millenni come rugiada di tempo. A Gerusalemme uomo e pietra si incontrano, convergono l’uno nell’altra e l’uomo si firma nella pietra. Una città che fa venire «in mente le “nane bianche”, quelle curiose stelle di cui parlano gli astronomi, piccolissime, ma di materia così compattamente addensata, ridotta a soli nuclei, che riescono a esercitare forze gravitazionali di potenza inaudita. Gerusalemme, nana bianca dello spirito».
Così scrive Fosco Maraini, il grande orientalista e nipponista italiano all’indomani della Guerra dei Sei Giorni, parole ispirate dalle pietre biondo-dorate di questa città e date oggi alle stampe per la prima volta. Un diario di viaggio, un resoconto personale e finora inedito di Fosco Maraini che è anche, a volte, un’epifania intellettuale, Gerusalemme visitata da Maraini nel corso di due differenti viaggi, nel 1967 e nel 1968.
A distanza di 55 anni, un resoconto che non ha perso freschezza, mantenendo l’impatto dirompente che storie, scorci e visioni gerosolimitane ebbero su di lui. Il punto di vista è quello dell’erudito laico: ma se l’approccio storico risulta irrimediabilmente datato, se la restituzione della storia biblica è priva di empatia e viziata da categorie di lettura improprie e troppo contemporanee, quello che colpisce è la testimonianza fornita da Maraini all’indomani della presa della città per mano israeliana: una sorta di documento, Israele vista con gli occhi di un intellettuale-erudito fiorentino degli anni Sessanta intriso di cultura letteraria e artistica italiana.
Gerusalemme con impresse le recenti ferite delle armi e delle esplosioni, con ancora dispiegata la sua topografia marziale, Gerusalemme che si porta dietro un destino cosmico, scrive Maraini citando uno storico all’epoca molto di moda, Toynbee. Ma anche la descrizione di Mea Shearim come doveva apparire al visitatore di quegli anni, un mondo impenetrabile e incomprensibile, tetragono persino all’osservazione smaliziata di un antropologo che difatti ammette, con irritato disappunto, di non capirci nulla.
Non va dimenticato che su queste pagine soffia lo spirito del tempo, fine anni Sessanta, in cui è immerso Maraini: materialismo storico e fermenti egualitari, lotte sindacali e studentesche, religione come “oppio dei popoli” e contrapposizione cattolici-comunisti, dialogo interreligioso alle prime battute e caute aperture tra mondo dei prelati cattolici e dei rabbini… Al netto di numerose ingenuità esegetiche e bibliche, Fosco Maraini si avventura giù nel pozzo profondo dei secoli e ne riemerge alternativamente con reperti di storia sacra e militare, con freccia e moschetto, ma anche con il tipico armamentario concettuale del suo tempo, ovvero con quei testi compulsati dall’intellighentzia degli anni Sessanta-Settanta, Marx, Engels, Sartre, ma anche Torquato Tasso e Giuseppe Flavio, i Vangeli, Tacito e Arnold Toynbee.
Le numerose fotografie presenti nel volume sono originali, scattate dall’autore stesso nel 1967 mentre scriveva il testo.
Peccato per l’Introduzione al libro, firmata da Franco Cardini, piena di venefiche e inascoltabili bigotterie, animata dai cascami di un antigiudaismo pre-Concilio Vaticano II, considerazioni offensive che rimestano l’antico paiolo avvelenato del pregiudizio cattolico antiebraico. Un intellettuale come Fosco Maraini avrebbe francamente meritato di meglio.
Antropologo, orientalista, scrittore, viaggiatore, fotografo e alpinista. Partito nel 1938 in Giappone come ricercatore all’Università di Sapporo, ha poi insegnato Lingua e Letteratura Giapponese all’Università di Firenze e a Oxford.