di Ugo Volli
[Scintille. Letture e riletture] Negli ultimi venti secoli l’identità ebraica si è dovuta confrontare con un contesto per lo più sfavorevole sul piano politico e sociale: l’esilio e l’assenza di uno Stato hanno comportato spesso per le piccole minoranze ebraiche sparse nel mondo sospetto, negazione di diritti, emarginazione, persecuzioni fino al culmine con la Shoah.
Ma vi è stata anche una continua sfida teorica, filosofica, teologica all’ebraismo da parte di movimenti intellettuali e religiosi che ritenevano di essere insieme l’inveramento di ciò che di buono e di giusto era stato proposto dalla tradizione ebraica (il monoteismo, il rispetto per gli esseri umani, la cura per i deboli ecc.) ma si proponevano anche come il suo “superamento” perché sottratte al “rigido” “formalismo” dei precetti, o addirittura alle “falsificazioni” o all’“incomprensione” della propria stessa tradizione di cui si sarebbe reso colpevole il popolo ebraico: ormai secondo loro era un “fossile”, “sopravvissuto a se stesso” e dunque da “superare” ed eliminare, relegandolo nel museo della storia se non all’“eutanasia” (l’espressione è di Kant).
La prima dottrina a pretendere questa posizione di “superamento” è stata quella cristiana, ma poi lo stesso ha sostenuto l’Islam (anche nei confronti del cristianesimo), e atteggiamenti simili sono emersi nell’illuminismo, nel marxismo e oggi anche nella cultura dell’“intersezione” dei diritti individuali e delle identità non convenzionali che qualcuno chiama “woke” (cioè risvegliato: un termine semireligioso, che richiama certe formule protestanti).
Il confronto più importante sul piano teorico e teologico, su cui si sono spese moltissime energie intellettuali, ma anche lacrime e sangue dalla parte dei più deboli, cioè degli ebrei, è proprio quello con il cristianesimo, di cui parla un libro uscito un paio d’anni fa, ma che merita di essere letto con cura: Il conflitto teologico – ebrei e cristiani. L’autore è Massimo Giuliani, uno dei più brillanti e colti, certo il più prolifico degli studiosi italiani contemporanei di pensiero ebraico.
Giustamente Giuliani fa partire il “conflitto teologico” dal I secolo della nostra era, cioè dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme e dall’inizio della teologia cristiana con le lettere di Paolo di Tarso e gli scritti successivi dei Padri della Chiesa e con le reazioni ebraiche, in realtà all’inizio molto meno attente alla polemica, per poi accennare agli sviluppi medievali e moderni. Ma il suo non è un libro di storia bensì di filosofia della religione. Quel che interessa a Giuliani è di individuare nella continuità e nei mutamenti del pensiero cristiano fino a oggi dei “modelli di relazione” teologica con l’ebraismo, che presentano quasi tutti il cristianesimo nel senso del “compimento” che implica il “superamento” dell’ebraismo; e reciprocamente dei modelli di spiegazione del mondo ebraico nei confronti del cristianesimo, che naturalmente negano il preteso superamento e si trovano però a mettere in questione oppure a sostenere con diversi argomenti la legittimità teologica del cristianesimo dal punto di vista ebraico. È un’analisi serrata, penetrante che cerca le ragioni del tradizionale antigiudaismo cristiano come pure degli episodi recenti in senso opposto come le visite degli ultimi papi in sinagoga.