di Esterina Dana
Un autore affermato. Una giovane aspirante scrittrice. Una storia d’amore che divampa. Lui è sposato, sua moglie è incinta. Lei lo ama e crede che lui l’aiuterà a crescere nella vita, anche come scrittrice
Leggere Lettera d’amore e d’assenza di Sarai Shavit e riandare con la mente a Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes è inevitabile, non solo perché è citato nell’esergo di questo singolare libro. In 190 pagine, Shavit tratta quell’affascinante “materia deteriorabile” che è l’amore, di cui, per Barthes, si può parlare nella sola struttura che ne può evitare la banalizzazione: quella frammentaria.
Lo fa in una lettera che non raggiungerà mai il suo destinatario. In essa rievoca gli spostamenti dell’anima di una giovane aspirante scrittrice, le ondate di passione per il suo insegnante di scrittura e la progressione delle di lui assenze. Descrive i tentativi della giovane di definire e distinguere le fasi dell’innamoramento e dell’amore, che si confondono e si intrecciano con la sua ricerca di identità: “chi sono io chi sono io chi sono io”. La fenomenologia della sua relazione, tutta interiorizzata, è scandita con un linguaggio sfaldato, che rispecchia il sentimento nel suo farsi, e ne misura l’intensità e la qualità. Brevissime frasi di poesia e prosa si incastonano nei vuoti delle pagine a evocare i sussulti del corpo e dell’anima, il buio della mente e i lampi di luce emanati da trasgressivi amplessi paurosi e travolgenti.
Parole essenziali compaiono inaspettate, taglienti come lame o luminose come epifanie, per descrivere la propria maturazione di donna tra le mani esperte del suo autorevole maestro, e di scrittrice, ammaliata dal potere della sua oratoria (“Avresti spalancato la mia immaginazione e mi avresti mandato personaggi”). Flash impressionisti la rivelano a se stessa tra illusione e consapevolezza “(Lo scrittore di tutti/vuole solo me/sogna il mio corpo/bianco/unico)” e “Questa è una storia d’amore proibita, capisco”. Perché lui ha una moglie e un figlio e l’epilogo è inevitabile.
La loro passionale relazione amorosa scaturisce dal reciproco bisogno di consolazione per la comune condizione di orfani. “Desidero …. palpare le rughe della madre che hai riconosciuto sul mio volto”. Ma è un’illusione: “Fare l’amore è solo un racconto orfano che abbiamo inventato”, dice l’autrice, perché entrambi sono innamorati dell’immagine che si sono fatti l’uno dell’altra. Ma “Quando qualcosa ti affascina e ti conquista, la devi spegnere, affinché la tua anima non venga imprigionata e non si faccia troppo male”. E così lei lo lascia, per ritrovarlo casualmente vent’anni dopo a un convegno: brizzolato e calvo con il bastone da passeggio, lei ormai scrittrice.
I personaggi di questo singolare memoir si muovono in uno spazio apparentemente indefinito, ma è Israele quello sfondo sfumato. Su un piano metaforico, essi ne sono l’espressione. In quanto scrittori, rappresentano due generazioni della letteratura israeliana: lui quella del passato tutta al maschile, dei Singer, Agnon, Oz, Yehoshua; lei quella contemporanea che offre uno sguardo al femminile, eredità delle grandi poetesse come Rachel o Lea Goldberg, in un paese che ancora femminista non è. Nel suo lavoro, Sarai Shavit rivendica l’uso di un linguaggio intimo e musicale per sondare l’intera gamma delle emozioni e dei sentimenti dell’individuo, nella loro veridica fluidità, scevra da ogni sovrastruttura: il dolore, la nostalgia, la rabbia. Con delicatezza.
Sarai Shavit ha vinto il Tel Aviv Municipality Poetry Prize, il Goldberg Prize for Literature e il Mifal Hapayis Poetry Prize. È scrittrice, poetessa, conduttrice televisiva, editor; organizza festival e dirige la rivista Moznayim.
Sarai Shavit Lettera d’amore e d’assenza, Neri Pozza, trad. Sara Kaminski
e Maria Teresa Milano, pp. 192, euro 14,50.