di Redazione
La storia di una donna dal nome ignoto, così deve essere: Lei, semplicemente Lei, mia madre. Una madre ebrea.
A ventinove anni, con il matrimonio “misto”, per Lei si apre il rifugio dalle leggi antiebraiche a fianco del marito militare, vedovo e solo con due figlie. Rea di averle derubate dell’amore paterno, fin dalle nozze l’esistenza di Lei si deforma in segregazione e disumano lager familiare, scivola in deportazione e cade nell’agguato di un male senza ritorno. Nessuno scopre, neppure il marito, abbattuto anch’egli dalle angherie delle figlie ribelli e dissolute. Aggredita e minacciata di denuncia alle SS, torturata a vita nella gabbia della sua dimora, è tradita dalla figlia e sopravvive con il solo amore del figlio Emanuele.
Storia vera, da ricordare. Storia da raccontare.
“Fa parte della nobiltà decaduta, buon partito, le dicono, e di vent’anni più anziano.” É quel che cerca. Maturo e senza smanie. Da tempo lo aspetta e Lei gli dona il suo amore coniugale.
Lei è l’ebrea nata da un facoltoso agricoltore. Ravetti di cognome, da Rav, grande, onorato, rispettato, il maestro, il rabbino. Ravetti, piccolo rav, piccolo maestro, piccolo uomo attento al lavoro dei campi e alla vigna, a ferrare cavalli e guidare carretti e calessi, a cercare l’alcol più delle visite al Tempio.
Di Lei si sono presi cura i nonni materni, con la madre inferma e scomparsa giovanissima dopo avere generato tre figli. Dai nonni ha potuto conoscere e comprendere i precetti e la Torah per essere una buona madre ebrea, ben poco avendo ricevuto dal padre, debole maestro, piccolo rav. Con il matrimonio “misto”, per Lei si apre un cammino di apparente salvezza, in realtà una diversa segregazione. Soffre, subisce e si ammala in modo grave. In silenzio. Nessuno scopre, né intuisce.