Libri/ Vasilij Grossman racconta l’inferno

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di Maria Eleonora Tanchis

“Oggi i testimoni cominciano a parlare, la terra e i sassi a levare, alte, le proprie grida. E di fronte alla coscienza collettiva del mondo, davanti agli occhi dell’umanità tutta possiamo ripercorrere, passo dopo passo, i gironi di un inferno, quello di Treblinka, in confronto al quale quello di Dante è uno scherzo innocente di Satana”. Vasilij Grossman, corrispondente di guerra per il quotidiano dell’esercito sovietico “Stella Rossa”, arriva a Treblinka insieme all’Armata. Vi trovarono una piccola fattoria, costruita in fretta e furia dai nazisti per tentare di occultare gli orrori seppelliti sotto quel terreno impregnato di morte. Treblinka fu uno dei tre campi di concentramento realizzati nell’ambito dell’Operazione Rehinard (insieme a Sobibor e Belzec), che prevedeva la “soluzione finale” di tutti gli ebrei polacchi. Composto da due settori diversi, uno per i dissidenti politici (Treblinka I, adibito a campo di lavoro forzato) e l’altro, appositamente creato per eliminare il maggior numero di deportati ebrei. Fu infatti il primo campo nazista che collaudò l’utilizzo dei gas come metodo di sterminio  (ideato per rendere meno “odioso” alle le guardie tedesche il compito di uccidere uomini, donne e bambini, dato l’effetto di instabilità mentale che provocava in molti di loro l’uso delle mitragliatrici), secondo solo ad Auschwitz per numero di vittime . Il giornalista russo, nel reportage commissionatogli dal governo comunista, ci racconta la (non) vita condotta nel campo, attraverso le testimonianze dirette dei pochissimi sopravvissuti, che ebbero il coraggio, l’ingegno e la forza fisica per organizzare una grande rivolta, che ebbe come risultato l’incendio di Treblinka, nonché la morte di quasi tutti i prigionieri (eccetto dodici) e di qualche decina di SS. Tutto questo viene narrato da Grossman, nei minimi e più atroci particolari, con uno stile che mescola elementi narrativi differenti. Il dovere di scrivere un’inchiesta giornalistica ( che lo porta a fornirci dettagliatamente dati, numeri, informazioni di cronaca) non raffredda i toni del suo racconto. L’orrore, la compassione, il pathos, trasudano dalle parole e investono prepotentemente il lettore, che a fatica riesce a sfogliare le pagine. Lo fanno entrare nei vagoni dei treni diretti al campo, nelle fila di individui che attendono di essere smistati, nelle sale “d’aspetto” antecedenti alle camere a gas, negli occhi e nei pensieri delle mamme a cui vennero sottratti dalle mani i propri figli. Ci racconta anche del gesto eroico compiuto dal gruppo di detenuti che diede vita alla grande ribellione del 1943 (nata grazie alle notizie della rivolta nel ghetto di Varsavia e seguita poco tempo dopo dalla sommossa di Sobibor), e del sacrificio di molti di loro, che si fecero uccidere piuttosto che rivelare alle guardie la motivazione dei movimenti sospetti. Ci racconta di quando, arrivato nei pressi del lager, egli si accorge di camminare sopra un’infinita distesa di capelli dalle sfumature più diverse. Da subito capisce di trovarsi davanti ad un inferno che poco ha a che fare con quello dantesco. E’ l’inferno di Treblinka.

Vasilij Grossman, L’inferno di Treblinka
Adelphi, Milano 2010
pp. 79