di Michael Soncin
Dalle credenze medievali fino alle teorie pseudoscientifiche di età moderna, malattia mentale ed ebraismo sono spesso stati associati. Una carrellata di storie di ordinaria (e libera) follia
Suo padre fu sepolto vivo ad Auschwitz, poiché si rifiutò di lavorare durante lo shabbat, mentre era prigioniero. Era ancora piccola, una bambina, e considerate le vicende del tempo, si trovò contesa tra due madri. La sua, quella biologica, fu costretta ad affidarla a una donna cattolica, convinta antisemita, la quale, con la malizia e l’inganno tentò non solo di privarla in tutti i modi della propria ebraicità, ma di far preferire lei, madre adottiva, a quella reale. È la vita di Sarah Kofman – docente di filosofia alla Sorbona di Parigi – e della folle ingiustizia che la Shoah tatuò per sempre nella sua mente.
Questa è una delle otto vite “più una” protagoniste di questo libro che fornisce un ritratto caleidoscopico della follia, ognuno per vicende e significati diversi, attraverso personalità del mondo ebraico del calibro di Woody Allen o di Ron Jeremy Hyatt dalle alte aspettative nel campo della recitazione, le cui doti però trovarono spazio in un genere cinematografico vietato ai minori. Paradosso dei paradossi, ci sono anche ebrei follemente antisemiti come Bobby Fischer o Dan Burros, entrambi americani. Grigori Perelman, genio russo della matematica, famoso per aver dimostrato la congettura di Poincaré, ma che rifiutò nel 2006 – nonostante l’incessante insistenza della madre che non desiderava altro – la Medaglia Fields, l’equivalente del Nobel per i matematici; un rifiuto motivato da questioni di priorità, di natura morale. C’è anche Shabbetai Zvi, personaggio controverso del XVI secolo, dichiaratosi Messia. Nella lista non manca nemmeno Otto Weininger, omosessuale, che decise di abbandonare la vita all’età di ventitré anni. “Le sue idee – come scrive l’autore – furono seriamente discusse da Freud, Kafka, Wittgenstein e Joyce”. Della follia parlò, nelle sue molteplici declinazioni, Erasmo da Rotterdam. Jacques Fux aggiunge un ulteriore significato al tema, percorrendo il tipico stereotipo dell’ebreo pazzo, pregiudizio ricorrente nelle diverse epoche storiche; e lo fa con maestria e tatto, tanto da ricevere nel suo Paese, il Brasile, il premio letterario Città di Manaus.
Resta un dubbio: “…l’ebreo è davvero pazzo o, come qualsiasi altro essere umano, è al di là di ogni comprensione?”.
Jacques Fux, Sulla follia ebraica, trad. di Vincenzo Barca, grafica di Ada Rothenberg, Giuntina, pp. 228, euro 18,00, ebook 9,99