di David Zebuloni
Con quello sguardo perennemente assorto e la voce leggermente roca, Elie Wiesel sembra mancarci oggi più che mai. Voce narrante delle atrocità compiute dai nazisti al popolo ebraico, Wiesel ha saputo raccontare la storia come nessun altro prima di lui. La sua notte, La notte di Elie Wiesel, è diventata nel tempo metafora del male. Un male che si traduce in buio e che impedisce alla luce del sole di scaldare le membra. Un lato meno conosciuto invece dello stesso Wiesel, è quello talmudico, tendente al chassidico, così fortemente radicato nella tradizione ebraica.
Abituato a trascorrere le sue giornate in Yeshiva e a studiare una pagina di Ghemara al giorno, il rapporto tra Wiesel e Dio si incrinò durante la prigionia nel campo di sterminio di Buchenwald. Poi, grazie all’incontro con Rav Saul Lieberman, Wiesel riscoprì il piacere dello studio e di conseguenze risuggellò il suo rapporto con Dio. “Posso vivere con Dio, posso vivere contro Dio, ma non posso vivere senza Dio”, dichiarò in una fase ormai avanzata della sua vita.
L’amore per il Talmud non è rimasto fine a se stesso. Nel tempo Wiesel ha saputo trasmettere la sua grande passione, nonché la sua vastissima conoscenza, componendo numerose opere trattanti l’argomento in tutte le sue sfumature. Maestri e leggende del Talmud è una di queste. Un’opera a dir poco straordinaria, specie per la sua capacità di rimanere attuale e rilevante, nonostante tratti di epoche remote e personaggi epici.
Maestri e leggende del Talmud, edito da Giuntina, racconta infatti i grandi maestri della tradizione ebraica, svelando ai lettori lati inediti e nascosti, decisamente più intimi e umani, dei saggi che hanno composto quell’opera monumentale che è il Talmud. Wiesel infatti osserva questi colossi da vicino, senza giudicarli mai in termini talmudici, bensì analizzandoli secondo criteri psicologici, sociologici, storici e famigliari. Accade così che il Talmud assume vita, diventando un testo estremamente vivace e colorato, ma soprattutto un testo accessibile a chiunque voglia conoscere più a fondo l’essenza dell’uomo. L’uomo, per l’appunto, non il rabbino. Non il maestro. L’uomo.
L’opera di Wiesel inoltre conferma la connessione profonda e insolubile che esiste tra memoria ed ebraismo. Una connessione che precede il nefasto nazista e che si manifesta inequivocabilmente nel libro, riuscendo così a stupire sia il lettore che lo stesso autore. Nonostante Maestri e leggende del Talmud non tratti in alcun modo di Shoah, i traumi di Wiesel traspaiono e riprendono vita attraverso i racconti da lui narrati. Le uccisioni di Rabbi Chanina ben Teradyon e di Rabbi Akiva d’un tratto assumono un valore diverso, rendendo impossibile il distacco tra chi racconta e chi viene raccontato. La distruzione del Secondo Santuario invece rievoca immediatamente il ricordo di quelle Sinagoghe barbaricamente sconsacrate dal Terzo Reich.
Wiesel ci dimostra, forse involontariamente, che la memoria non è un’eredità lasciataci dai sei milioni di ebrei uccisi nei campi di sterminio, bensì un patrimonio millenario che ci accompagna di generazione in generazione, dando così valore e significato all’esistenza stessa dell’ebraismo in tutte le sue forme. Senza memoria d’altronde non esisterebbe il Talmud, e senza il Talmud non potrebbe esistere il popolo ebraico.