di Ester Moscati
Paolo Salom scrive la storia vissuta da suo padre
Marcello, Mordechai, Marseo: sono i tre nomi e le tre identità di un ragazzo italiano, ebreo, veneto che vive i traumi personali e quelli collettivi di una generazione negli anni del fascismo e della guerra. È il protagonista della storia vera, anche se romanzata in alcuni dettagli, della famiglia Salom. Galeazzo -il padre di Marcello – è un giovane ebreo italiano di origini padovane che per lavoro si trasferisce in Romania; lì incontra una bellissima ragazza di una famiglia ortodossa, Golditza (ma anche Aurina e infine Dorina… i nomi sono importanti in questa vicenda, dove l’identità, per scelta o per forza, muta negli anni), e la sposa. Nascono tre figli: Marcello, Myriam e Paolo e tutta la famiglia vive per i primi anni con i nonni Nathansohn in un contesto ebraico-orientale che subisce un diffuso antisemitismo di popolo.
Per Galeazzo l’ebraismo è un inutile fardello, si sente italiano e fascista, medita la conversione per liberare (illuso!) se stesso e la famiglia dalla “diversità” e dalla persecuzione religiosa. Ma Golditza, in Romania, forte del sostegno della sua famiglia, riesce a bloccare sul nascere con durezza anche i vaghi accenni del marito a questo progetto. Così Galeazzo decide di riportare la famiglia in Italia. È il 1938. Se nell’Europa dell’Est gli insulti antisemiti erano all’ordine del giorno, per strada, nei villaggi… in Italia la “difesa della razza” diventa una Legge dello Stato.
È questo il contesto in cui cresce Marcello, in cui matura una rabbia crescente, che alla fine lo porterà alla fuga dalla famiglia e all’ingresso nella milizia fascista delle Camicie Nere. Non è una adesione ideologica, è solo il tentativo di un ragazzino di 15 anni di salvarsi la vita.
La storia si dipana per le strade di un’Italia devastata, in cui si incontrano personaggi che a diverso titolo contribuiranno alla salvezza di Marcello.
A raccontare la storia di Marcello e della sua famiglia, in questo libro che si legge d’un fiato (Un ebreo in camicia nera, Solferino), è Paolo Salom, firma del Corriere della Sera, a cui è stato dato il nome del fratello minore di suo padre. Perché ha deciso di raccontare una vicenda spinosa e dolorosa (un ebreo “fascista”, anzi due: nonno Galeazzo per convinzione, il padre Marcello per salvarsi; ma anche la conversione al cristianesimo, che provoca una profonda crisi coniugale tra i nonni, e il successivo “ritorno” alla fede dei Padri) ce lo spiega lui stesso. «È una storia che ha atteso tanti anni per essere raccontata. Erano almeno 10 anni che ci pensavo e che provavo ad iniziare a scriverla. Mio padre era mancato da poco e c’era anche una specie di pudore nei suoi confronti. E ho fatto molta fatica negli anni a capire e a sapere, perché mio padre era anche molto reticente a raccontare le vicende di questa guerra. C’era una sensazione di vergogna da parte sua.
In realtà lui non aveva alcuna colpa, era solo un ragazzino di 15 anni che ha cercato di salvarsi la vita, e non ha mai fatto del male a nessuno. Tutto quello che ho raccontato è esattamente quello che è successo. Si è trattato di incontri fortuiti e di una vicenda che si è sviluppata piano piano. Non si può dare la colpa a un ragazzino, la colpa è di chi ha creato quel contesto, di chi lo ha costretto a fuggire e a nascondersi. Ma in mio padre la vergogna è nata soprattutto ‘dopo’, quando si è saputo che cosa era stata la persecuzione antiebraica, la Shoah e il ruolo delle Camicie Nere. Quindi il fatto di aver indossato, anche se non certo per adesione ideologica ma per un camuffamento, quella divisa, è stato difficile da sopportare. Quando tutto è emerso, allora ha capito di aver fatto qualcosa di inaccettabile e ha cercato di rimuoverlo. Ma sono cose che sono rimaste in famiglia come un peso. Quindi ho deciso di scrivere questa storia una volta per tutte, per raccontare quello che è accaduto. Raccontare apertamente è stato un modo per accettarlo e, infine, per ‘assolvere’ mio padre».
Paolo Salom,
Un ebreo
in camicia nera, Solferino editore,
pp. 207, 16,00 euro.