di Laura Ballio
Quali soluzioni si prospettano per un conflitto che si protrae da 70 anni
e che, nonostante le proteste di facciata, non scalda più i cuori dei giovani occidentali?
«È indubbio che il conflitto israelo-palestinese abbia perso la sua centralità in Occidente, senza per altro aver trovato, dopo quasi settant’anni, una soluzione improntata alla convivenza dei due popoli in un territorio per altro molto angusto», afferma Claudia De Martino nel suo ultimo libro Il nuovo ordine israeliano. Oltre il paradigma dei due Stati.
In effetti, nemmeno la recente decisione del presidente Donald Trump di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme ha smosso più di tanto l’opinione pubblica occidentale.
Altre guerre hanno infiammato quell’area, altri problemi – come i flussi migratori verso i Paesi europei e gli Stati Uniti – hanno fatto sì che i giovani del nuovo millennio non considerino più il conflitto israelo-palestinese come “la madre di tutti i conflitti in Medio Oriente”.
Partendo da queste considerazioni, De Martino, ricercatrice all’Unimed di Roma e autrice tra l’altro di I Mizrahim nella storia di Israele (1949-77), tenta «l’ambiziosa missione di districare alcuni dei fili rossi principali che oggi legano tra loro gli eventi che avvengono ogni giorno in Israele e Palestina» e di spiegare perché «la soluzione dei “due Stati” sia non solo diplomaticamente, ma anche politicamente morta».
In meno di ottanta pagine l’impresa appare ardua ma l’autrice non la teme e la svolge in capitoli intitolati ognuno con una domanda: Quanti e quali Stati vuole Israele? Quo vadis Palestina?
La risposta forse è nella terza domanda/capitolo: Uno, due o tre Stati?
Claudia De Martino,
Il nuovo ordine Israeliano. Oltre il paradigma dei due Stati, Castelvecchi, pp. 78, euro 9,50