Memoria, al Franco Parenti la presentazione del nuovo libro di Edith Bruck

Libri

di Roberto Zadik

Sulla Shoah ogni volta si scoprono storie incredibili e piene di dolore ma anche di coraggio, vicende di uomini e donne che sono sopravvissuti all’immensa sofferenza dei lager e che hanno trovato la voglia per ricominciare grazie alla potenza della parola e della scrittura, spesso sottovalutata o ignorata nella società odierna. È proprio usando la scrittura “come terapia dal dolore” che la scrittrice e poetessa ungherese naturalizzata italiana – e compagna del regista e poeta  Nelo Risi – Edith Bruck ha realizzato una ventina di libri. Ha raccontato la sua storia anche al Teatro Franco Parenti, domenica 22 gennaio, con la presentazione, organizzata in collaborazione con l’Associazione Pierlombardo e il Cdec, Centro di Documentazione Ebraica, della sua nuova opera “La rondine e il termosifone” (140 pp, editore La nave di Teseo,  14,50 euro) .

Testimone e scrittrice della Shoah, come grandi autori del calibro di Elie Wiesel e Imre Kertesz, entrambi ungheresi come lei e recentemente scomparsi, o come Primo Levi, del quale divenne molto amica assieme a vari personaggi di punta del mondo culturale italiano, da Vittorini a Montale, la Bruck a 86 anni ha presentato il suo ultimo lavoro sul palco del Teatro Parenti in “un evento importante che è il primo del calendario della settimana della Memoria” come ha detto la direttrice del Parenti Andreè Ruth Shammah.

Realizzata grazie al prezioso contributo del Cdec e di Paola Mortara che ha intervistato la scrittrice, la serata è stata molto coinvolgente e non si è limitata alla presentazione del libro ma è andata ben oltre. Si è trattato di un omaggio alla figura e alla personalità della Bruck, alla sua forza nel sopravvivere ai lager e nell’andare avanti affermandosi in campo culturale e letterario in Italia, dove ha vissuto lungamente stringendo un rapporto molto profondo con Risi. Dal dolore dei campi, all’amore, ai tre matrimoni della Bruck, e al sodalizio con Risi, morto dopo una lunga malattia nel settembre 2015, ai suoi anni a Roma e in Israele, il testo è un resoconto autobiografico di rara intensità.  Durante l’evento la sorella della direttrice del Parenti, Colette Shammah ha letto alcune parti del libro della Bruck, poi Paola Mortara del Cdec l’ha intervistata e il giornalista, scrittore e ex deputato, Furio Colombo ha invitato alla lettura “di un libro straordinario e unico nel suo genere,  pieno di poesia e di frasi che ti avvolgono e ti rimangono dentro”.

Così, dopo l’introduzione della direttrice del Parenti, è stata la volta del bel video “Il tatuaggio dell’anima” prodotto dal Cdec e realizzato da Raphael Tobia Vogel; come ha detto la Shammah “sta avendo successo questo filmato, che è piaciuto molto al Cdec e a tanta gente. Tratta della complicata vicenda umana di Edith Bruck che ha saputo comunicare la sua sofferenza grazie al valore della parola e della testimonianza come strumento primario di verità. Il video raccoglie il materiale incandescente trovato dal Cdec ed è stato realizzato da Tobia e Sebastiano Facco”.

Ma chi è Edith Bruck? Nata da una famiglia molto povera in un villaggio ungherese al confine con l’Ucraina, nel video la Bruck si racconta in ogni particolare della sua intensa e difficile vita. Dalla nascita e dall’infanzia molto difficile e povera, nata da famiglia ortodossa e con sei fratelli, da piccola lavorava come bracciante nei campi “e questo mi aiutò molto a sopravvivere nel lager” fino alla segregazione nel Ghetto “dove finalmente non c’erano più divisioni sociali, ma il ricco era uguale al povero” all’internamento nei campi di Auschwitz e di Bergen Belsen, la scrittrice narra con sorprendente lucidità e lampi di inaspettata ironia l’Inferno della Shoah e dell’antisemitismo ungherese.

Diversi sono i momenti molto toccanti e diretti con mano sicura da Vogel che ha intervistato la scrittrice e poetessa nella sua casa a Roma. Formato da varie interviste unite a immagini dei lager e a fotografie in bianco e nero, il filmato riporta lo spettatore “nell’Inferno dantesco di quelli anni e nell’indifferenza e nell’ostilità che abbiamo vissuto sia in Ungheria sia nei campi di sterminio”. Come ha sottolineato la Bruck “quegli anni resteranno sempre dentro di me. È un dolore eterno. Ricordo quando nel lager ci svegliavano alle cinque del mattino, quando io e mia sorella, che eravamo piccole, ci facevamo coraggio a vicenda con un freddo e una fame impossibili da immaginare. Piangevo per settimane e cercavo mia madre dappertutto.” Poi la verità sulla tragica fine della mamma quando “dopo cinque settimane, una ebrea polacca mi disse ‘ti faccio vedere io dove è la mamma’. Ero felice al momento, ma poi mi chiese se sentivo puzza di bruciato. Io dissi di sì e lei aggiunse ‘è lì che brucia tua madre, come la mia’”.

Momenti scioccanti e sofferenze nel campo dove “un giorno era lungo una vita e tutto sembrava non finire mai. Finalmente venimmo liberati il 15 aprile 1945 dai soldati americani; eravamo denutriti, mezzi morti, pesavo 25 chili. Tornai in Ungheria e fu uno shock: la mia casa era in condizioni disastrose e nel 1956 sono arrivata in Italia. Era un Paese povero allora, ma mi trovai subito bene, conobbi tante persone che nonostante la miseria del dopoguerra mi offrivano da mangiare e mi sorridevano. L’italiano mi divenne molto famigliare e scrivere in questa lingua mi aiutò molto a esprimere le mie sofferenze. In ungherese non avrei mai potuto, mi ricordava troppe cose spiacevoli ed era troppo personale. Arrivata in Italia sentivo il dovere di testimoniare e cominciai a fare il giro delle scuole e a parlarne coi ragazzi”.

Subito dopo il filmato, la scrittrice e poetessa è stata intervistata da Paola Mortara del Cdec che l’ha ringraziata per la preziosa testimonianza. Sollecitata dalle domande, la Bruck ha sottolineato quanto sia stato piacevole “lavorare con Tobia e con Sebastiano Facco per il documentario. Ogni volta che parlo della mia sofferenza mi emoziono a pensare a come abbia fatto a sopravvivere a questa terribile esperienza in cui sono morte milioni di persone.” Disgustata dal negazionismo “ne parlavamo molto anche con l’amico Primo Levi” e preoccupata per il boicottaggio e per l’attuale manipolazione della Memoria, ha raccontato diversi aneddoti molto interessanti e inediti. Fra questi, quando è arrivata in Israele dopo la Shoah “nessuno ci ha accolto calorosamente come sognavo nella mia infanzia. C’è stata molta freddezza e ci hanno detto che non volevano sentirne parlare. Ci sono voluti vent’anni perché si cominciasse a trattare liberamente questo argomento. E anche in Germania a Monaco cercavo il lager di Dachau e chiesi a un anziano tedesco proveniente da lì e mi disse che non lo sapeva. So che ora è diverso ma non riesco più a andare in Germania, a parlare tedesco o ungherese”. Nel suo discorso la scrittrice ha affrontato varie tematiche, ringraziando oltre che il Cdec, la casa editrice la Nave di Teseo e il Teatro Parenti anche l’Italia e personaggi come Elio Vittorini, la scrittrice Gina Lagorio o Guido Lopez e il giovane regista del video Raphael Tobia Vogel. A questo proposito Paola Mortara ha fatto sapere che il suo video verrà inserito nel prossimo festival del cinema israeliano che si terrà dal 5 al 7 maggio sempre allo Spazio Oberdan e in cui ci sarà una sezione su giovani registi e mondo ebraico.

 

Riguardo alla situazione attuale la Bruck ha specificato come “non dobbiamo mai smettere di testimoniare. Viviamo una fase dove c’è molta confusione e un pericoloso appiattimento. Per questo è molto utile parlare nelle scuole è molto importante e lo farò finché avrò la forza. Per me è un grande risultato anche se riesco a far cambiare idea a due o tre persone.” In conclusione della serata molto toccanti sono state la lettura delle pagine del testo dove è emerso il profondo rapporto dell’autrice con Nelo Risi e la sua dedizione nell’accompagnarlo negli ultimi anni della sua malattia e il discorso di Furio Colombo che ha messo in evidenza il valore letterario del libro che “contiene una ricchezza impressionante di emozioni e di informazioni e un sorprendente racconto di vita col ritmo della suspense e del thriller e la forza della poesia e della Memoria. Essa non viene concepita come un blocco inamovibile e intoccabile, come avevo immaginato quando lottai alla Camera per la legge sul Giorno della Memoria, ma come un fluido nuovo e emozionante”.