di Ester Moscati
Ci sono quelli che da piccoli facevano sempre goal e che non ci stanno a prendere pali e traverse per tutto il resto della loro vita. Ci sono le speranze non mantenute, la bellezza che non dura, i soldi che finiscono sempre troppo presto, soprattutto tra droga, alcol e rave party. E c’è la morte, che se fai una certa vita la devi mettere nel conto.
Sono sette storie crude e disperate quelle che il nostro Roberto Zadik affida al selfpublishing di Amazon. E anche questa è una storia, perché Milanconie 2.0 è un libro che merita un Editore, un editing e una veste grafica da vetrina. Ma tant’è. L’editoria è in crisi, come tutto. E i giovani autori per farsi conoscere, per esprimere quello che hanno dentro, sì, anche le loro Milanconie, la particolare malinconia che viene a Milano, quando non sei un rampante in carriera (ma chi può davvero essere sicuro di esserlo?) i giovani autori appunto devono scommettere su se stessi e auto-pubblicarsi e auto-promuoversi.
E fortuna che c’è la Rete. Così possiamo conoscere (non sempre amare, questo no) i sette personaggi che danno il nome ai sette racconti che compongono questa raccolta.
Disperati, a volte violenti e crudeli, spesso solo delusi da qualcosa che davano per scontato e che invece è sfuggito loro di mano, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Che li ha lasciati, non più tanto giovani ma ancora irrisolti, a combattere sulla strada dell’(in)successo. Echi on the road, tra bevute e sballi metropolitani: Roberto Jack Kerouac Zadik ci porta tra le maleodoranti corti periferiche, oltre via Padova e zona Pasteur, tra sbandati e ubriachi cronici che l’essere italiani, tra neri e arabi e asiatici, non redime per nulla, anzi condanna a un livore ancora più sofferto. Ultimi tra gli ultimi, senza neppure l’illusione di un riscatto “nelle prossime generazioni”. Perché gli italiani “nei cartoni” sanno di essere la generazione finale, sanno di aver sceso la scala sociale fino al fondo melmoso e fradicio del fallimento.
Eppure, c’è Roberto Zadik in queste pagine. E cioè, per chi lo conosce, c’è la speranza, l’ironia, la passione per la musica, il cinema e la letteratura. C’è la fantasia e la capacità di condurci nel bassifondi con la migliore colonna sonora possibile. Sa appassionare, con le immagini di un neorealismo da terzo millennio, e nonostante tutto colorare di sagacia e follia il mondo dei perdenti, dei disperati.
Presente -e allo stesso tempo assente- nei racconti di Milanconie 2.0 è la famiglia. Padri e madri che non sanno davvero comprendere il disagio dei figli, giovani uomini e donne cui hanno cercato di inculcare i valori dell’onestà e del duro lavoro come garanzia di successo, o almeno di serenità; incapaci di capire che oggi quei valori, quello stile di vita “milanese”, non garantiscono proprio nulla. Oggi non basta cercare lavoro per trovarlo, non basta essere onesti per essere stimati, anzi. E su questa illusione perduta si aprono abissi di disperazione. Magari fosse solo malinconia.
La Milano del glamour, quella che corre, che lavora, ha questa faccia nascosta, il lato oscuro che, come quello della Luna – do you remember Pink Floyd? – puoi conoscere solo se riesci a cambiare completamente le tue prospettive, il tuo punto di vista.
È questo forse il “messaggio”, come si diceva una volta, che Zadik vuole lanciare con questa sua opera prima: la realtà oggi è materia fragile, complessa e precaria (liquida, ci ha insegnato Zygmunt Bauman). Attenti a non bruciare il terreno su cui, volenti o nolenti, dobbiamo camminare. Attenti a chi vi striscia a fianco con il capo chino. Magari trama di colpirvi, ma forse ha solo bisogno di una mano.
Ester Moscati
Milanconie 2.0, di Roberto Zadik, Amazon.com, pp. 110, euro 10,29.