di Cyril Aslanov
[Ebraica. Letteratura come vita]
I percorsi diversi ma complementari della romanziera israeliana di lingua russa Dina Rubina e dell’attrice Evghenia Dodina dimostrano la straordinaria varietà del mosaico culturale israeliano dove il denominatore comune “israeliano” può coesistere con tante declinazioni diverse: sabra; diasporico; russo; arabo…
Dina Rubina, nata nel 1953 a Tashkent da genitori evacuati dall’Ucraina in Uzbekistan quando la Germania nazista invase l’URSS a giugno 1941, era già una scrittrice famosa prima di emigrare in Israele nel 1990. In Israele ha continuato a produrre romanzi e racconti apprezzati in tutto il mondo e particolarmente in Italia, dove 22 dei suoi romanzi o racconti sono stati tradotti dal russo all’italiano. Sebbene scritta originariamente in russo, la sua narrativa non può essere considerata come qualsiasi narrativa russa contemporanea. Il suo racconto Un intellettuale seduto per la strada, pubblicato nel 1994, quattro anni dopo la sua ‘Alyah, è ancora molto legato all’ambiente sovietico, di cui dipinge l’incredibile durezza (l’azione si svolge durante gli anni di piombo della dittatura di Stalin). Invece, due anni dopo, venne pubblicato Ecco il Messia!, un romanzo dove Rubina descrive in maniera caricaturale, con un’ironia caustica, lo sfasamento fra gli israeliani sabra e gli immigranti russi recentemente arrivati nel paese. La sua arte cambiò profondamente pur essendo scritta sempre nella stessa lingua, il russo. Ma lo stile dei suoi romanzi e racconti del periodo israeliano è più libero, più brioso e a volte deliberatamente volgare nel suo modo di riprodurre brani interi di dialoghi ripresi dalla realtà. Si noti che, in russo, è inconcepibile che una donna imprechi e usi parolacce, a maggior ragione quando scrive. Nell’URSS degli anni 1980, Rubina non si sarebbe mai potuta permettere tanta libertà e si può dire che la scrittrice ha infranto un tabù culturale. Questa differenza essenziale nei codici di lingua e di scrittura ci costringe a considerare Rubina come una scrittrice israeliana di lingua russa, cioè un’autrice che esprime in russo la realtà israeliana, con una tonalità profondamente israeliana.
Abbastanza diverso è l’itinerario di Evghenia Dodina, nata nella città bielorussa di Mogilev nel 1964 e immigrata in Israele nel 1990, lo stesso anno di Rubina. Già nel 1991, nel teatro telaviviano Ghesher (“ponte”) diretto da suo marito, il regista Evghenij Arieh, i due artisti cercavano di far coesistere le due lingue, il russo e l’ebraico, in un repertorio dove le stesse opere potessero essere recitate sia in russo sia in ebraico a seconda delle rappresentazioni. La decisione di non chiudersi nel ghetto linguistico e culturale degli israeliani russofoni ma di alternare le due lingue, fu coronata di successo. Nel 2007 Dodina integrò il celebre teatro Ha-Bimah che riuscì a sopravvivere nella Russia sovietica come teatro ebraico, in ebraico, fino al 1926, prima di trasferirsi nella Palestina mandataria nel 1928. L’arrivo di Dodina al teatro Ha-Bimah è un modo di chiudere il cerchio giacché durante il suo periodo moscovita (1918–1926), Ha-Bimah aveva adattato al teatro ebraico in lingua ebraica l’insegnamento e i metodi dei registi Konstantin Stanislavskij e Evghenij Vachtangov. Il percorso della compagnia Ha-Bimah da Bialystok a Mosca e da Mosca a Tel Aviv spiega l’impatto dell’estetica teatrale russa sulla storia successiva del palcoscenico israeliano. Anche quando recitato in ebraico da autori che non hanno a che fare con la lingua e la cultura russa, il teatro israeliano guarda qualcosa della russità ebraicizzata di Ha-Bimah. Questo potrebbe spiegare la facilità con la quale Evghenia Dodina venne ricevuta dalle più alte sfere della vita teatrale israeliana. In questo universo, il fatto di venire dal mondo teatrale sovietico era un vantaggio non solo per Dodina ma anche per Ha-Bimah, il più prestigioso teatro israeliano al quale l’integrazione di Dodina permise un ritorno alle proprie radici.
Le carriere di Dina Rubina e Evghenia Dodina illustrano ciascuna a suo modo tre caratteristiche importanti dell’identità culturale israeliana: 1) che il sogno di Ben Gurion di creare una società monolingue ebraica era illusorio e che la forza di Israele risiede precisamente nella sua capacità di ospitare una scrittrice che scrive integralmente in russo ma con una tonalità molto israeliana; 2) che i meccanismi di integrazione degli immigranti dall’ex URSS o da dovunquesia permettono di arricchire la vita culturale israeliana con apporti esterni acclimatati con successo all’idiosincrasia del paese; 3) che in certi casi le radici est-europee e russe del mainstream israeliano (le tre prime ‘aliyot provenivano quasi esclusivamente dall’Impero Russo o dalla Russia sovietica) non solo facilitano l’integrazione di nuovi elementi venuti da quegli orizzonti, ma anche che tali radici qui vengono riattivate. Questa riattivazione permette di ripristinare nella Tel Aviv del XXI secolo l’atmosfera eroica dei primi passi della compagnia teatrale Ha-Bimah a Bialystok e a Mosca.