di Ugo Volli
[Scintille. Letture e riletture] È passato poco più di un secolo dalle prime ricerche di Gershom Scholem che rivalutavano la Qabbalah come fenomeno centrale del pensiero ebraico e nel frattempo non è affatto diminuito l’interesse scientifico per questa grande corrente di pensiero, che un po’ riduttivamente viene definita mistica ebraica.
Il merito è di un gruppo ormai consistente di storici, il cui esponente più prestigioso è oggi Moshé Idel, studioso israeliano di origine rumena, succeduto a Scholem sulla cattedra di Pensiero ebraico dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Molti suoi libri sono stati tradotti in italiano, in particolare da Adelphi e Giuntina. Ora è appena uscito un suo nuovo volume, intitolato L’apoteosi del Femminile nella Qabbalah (Adelphi 2024), che ritorna su un tema delicato che è molto caro a Idel, quello del ruolo del sesso e del genere in questa tradizione. Ma non si tratta, come nel precedente Eros e Qabbalah (Adelphi 2014) del pensiero cabalista sulla sessualità umana, bensì di una riflessione più alta e problematica, quella del ruolo metafisico del Femminile (Idel lo scrive con la maiuscola per indicarne il carattere trascendente) nella struttura della manifestazione divina.
Nella Qabbalah essa è espressa come una rete o piuttosto un “albero” costituito da dieci aspetti, le Sefirot, di cui l’ultima, cioè la più bassa e vicina al mondo umano, è per lo più chiamata Malqut (cioè “regno”). Nelle fonti prese in considerazione da Idel questa emanazione è spesso identificata con la Shekinah, vale a dire la residenza e provvidenza divina nel mondo e anche con la Knesset Yisrael, cioè la collettività del popolo ebraico. Entrambe queste realtà sono viste come femminili e pensate come unite in una sorta di coppia con l’aspetto maschile della divinità. Quel che interessa Idel è l’idea che oltre alla lettura “verticale” dell’albero delle Sefirot, si ritrova una sua lettura “circolare” in cui l’ultima emanazione prelude anche alla prima. Ciò è usualmente giustificato dai testi citati usando un principio talvolta attribuito ai maestri talmudici, ma in realtà di provenienza greca, per cui l’“ultimo del pensiero è il primo per l’azione”. Quest’idea è applicata alla donna, creata per ultima all’inizio della Genesi, ma prima per la vita umana. Si applica anche a Malqut, dandole una posizione di particolare preminenza fra tutte le Sefirot.
In una introduzione molto densa e impegnativa al volume, Idel ammonisce a non pensare la Qabbalah come una filosofia in cui prevalga l’aspetto cognitivo e sistematico, ma a tener conto della sua fondamentale disposizione ermeneutica, per cui non solo diverse scuole o autori, ma perfino lo stesso maestro possono proporre intuizioni differenti su temi analoghi a seconda del contesto interpretativo. E ci previene anche dall’applicare a questa materia gli schemi intellettuali contemporanei di genere e “correttezza politica” che non hanno alcun rapporto con l’ambiente intellettuale da cui è uscita la produzione cabalistica. Il suo è dunque un approccio storico, che parte dal XII secolo e arriva fino alla modernità, individuando l’emersione frequente di una figura metafisica del Femminile e del suo primato. Leggere direttamente i testi della Qabbalah è impossibile per chi non abbia una conoscenza approfondita delle Scritture e della letteratura ermeneutica ebraica, oltre che della liturgia; grazie alla straordinaria competenza storica e teorica di Idel e alla sua capacità espositiva, anche in questo libro il lettore riesce a intuire i tesori nascosti e sconvolgenti del pensiero ebraico.