Siamo nell’anno di grazia 1800: Goethe sta componendo versi, Napoleone sta conquistando l’Europa, Beethoven mette in musica una sinfonia, Rabbi Nahman di Bratzlav canta le lodi della Creazione e… s’innamora. 1800: ovvero il numero che è cento volte 18, che in ebraico significa chai, vita. Quindi 100 volte vita. E Nachman scopre appunto la… vita sotto le sembianze di una bionda fanciulla. Così il celebre rav perde il senno, si scorda dell’alfabeto ebraico, si interroga sullo yetzer-ha-rà, su Eva che fu data ad Adamo come aiuto contro se stesso, ezer quenegdò, sull’amore, sullo sconforto che segue l’euforia delle passioni. Scansa la depressione, troppo facile, dice lui, perché la depressione è una forma di ubriachezza morale e gli ebrei non sono degli ubriaconi. C’è una tensione tra uomo e Dio, e questa tensione è come la corda di un violino: più la corda è tesa, migliore è la melodia. Entrando e uscendo dagli insegnamenti del famoso maestro chassidico nipote del Besht, Curt Leviant imbastisce un bel romanzo il cui cuore tematico è la crisi spirituale di una grande figura morale. Traduttore dallo yiddish e autore tra i più noti della letteratura ebraico americana, Leviant ci racconta vita e carattere del mitico leader di Breslav. Amore, avventura, immaginazione mistica. Il Rabbi sa, qabbalisticamente, che in ogni male c’è una misura di bene. Così parte per un viaggio che lo porterà a Vienna (qui stringe amicizia con Beethoven), fino a Gerusalemme. (Fiona Diwan)
Nachman, il rabbi innamorato
Curt Leviant, L’uomo che pensava di essere il Messia, Giuntina, pp. 289, 15 euro
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