di Ester Moscati
Smontare la fake-history e i luoghi comuni. Ricostruire il rapporto tra antisemitismo e Ventennio. Un’indagine di Michele Sarfatti svela “inciampi e deragliamenti” nella ricerca della verità
Otto stereotipi sulla persecuzione antiebraica nell’Italia Fascista è il sottotitolo di questo saggio di Michele Sarfatti, già direttore per molti anni del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, pubblicato da Viella nella collana L’antidoto. Il proposito di questo progetto editoriale è quello di “smontare la fake history”, cioè “decostruire e confutare interpretazioni e narrazioni prive di credibilità scientifica, ma che ormai fanno parte dell’immaginario pubblico e storiografico”.
Nel caso del saggio di Sarfatti, questo significa smascherare una “ricostruzione storica della persecuzione antiebraica nell’Italia fascista” che per troppo tempo ha minimizzato l’antisemitismo del Ventennio, sottovalutato pregiudizi e orientamenti antiebraici nella società e nella cultura italiana, fino a dare una lettura incongrua e fuorviante dell’alleanza fascismo/nazismo e a sminuire le responsabilità della Repubblica di Salò nella Shoah.
Fu davvero un “fulmine a ciel sereno” l’emanazione dei provvedimenti razziali nel 1938? Un esame dei documenti e delle testimonianze, come le lettere dal carcere di Vittorio Foa, rivelano che no, non fu proprio così inaspettata la deriva antisemita del fascismo. E ancora, chi fu il vero “padre” del decalogo degli scienziati fascisti? Mussolini, i dieci firmatari, i 330 aderenti… Un altro “inciampo” è suggerito dalla lettura di una pagina de La Storia di Elsa Morante; solo tre, tra centinaia di recensioni al romanzo, colgono il terrore suscitato nella protagonista dal censimento fascista degli ebrei; perché? E perché antisemiti e razzisti della prima ora, come Giorgio Bocca, non ragionarono “dopo il risveglio” sui propri “errori”, non cercarono di dare una “profondità” storiograficamente utile al loro agire giovanile? Anche le responsabilità del fascismo nella Shoah italiana furono spesso sottaciute, finché il lavoro di Liliana Picciotto arrivò a documentarne il ruolo determinante. Insomma, la ricerca storica non si deve fermare, mai.