di Sara Pirotta
“Semplicemente vi dico, per me siete le persone più care che mai abbia conosciuto; e ancora una volta vi prometto che farò per voi tutto che per altri non avrei fatto e farei”. È una dichiarazione di affetto intensa e sincera quella che Ezio Giorgetti, albergatore di Bellaria, invia con gli auguri per il Capodanno 1944, all’amico ebreo di Zagabria, Ziga Neumann, da tempo nascosto con una trentina di compagni per sfuggire alla deportazione. Una dichiarazione non di sole parole, ma di fatti, che vedranno Giorgetti, con il sostegno del maresciallo dei carabinieri Osman Carugno, salvare la vita a 38 ebrei evasi dal campo di Asolo dopo l’armistizio del settembre 1943.
Per oltre un anno, nei mesi più convulsi e duri della rappresaglia antisemita tedesca e repubblichina, i due italiani si daranno da fare, rischiando la vita e quella delle proprie famiglie per nascondere e salvare i profughi ebrei, aiutandoli a raggiungere il Sud liberato dagli Alleati. Un aiuto prezioso e indispensabile, che ha valso a Giorgetti e Carugno il titolo di “Giusto tra le Nazioni”. Il giornalista Emilio Drudi racconta questa incredibile storia nel libro Un cammino lungo un anno, edito da Giuntina (pp. 151, euro 15,00).
A fare da sfondo all’odissea del gruppo di profughi, durata ben 377 giorni, ci sono le vicende e gli episodi di violenza di un’Italia confusa, stordita dalla guerra, ma capace anche di grandi gesti di solidarietà.
Fra le righe del racconto, accanto alle figure di Giorgetti e Carugno, Drudi ricorda i nomi di numerose persone che lungo il cammino hanno aiutato Ziga Neumann e i suoi compagni con medicine, cibo, riparo e amicizia.
Ma andiamo con ordine. È il 13 settembre del ‘43 quando il gruppo di rifugiati, quasi tutti originari di Zagabria, arriva a Bellaria guidato dall’avvocato Neumann e dal genero Joseph Konforti. Per una serie di coincidenze, Ezio Giorgetti si offre di ospitare i profughi nel proprio albergo, rimandando la chiusura della stagione estiva. All’albergatore bastano però pochi giorni per rendersi conto che non si tratta dei molti sfollati provenienti da tutta Italia che in quei mesi affollano Bellaria. Il permesso di viaggio regolare e l’appoggio di una facoltosa contessa della zona non mettono a tacere i dubbi che agitano la sua mente. I cognomi poco ‘italiani’ e la parlata dall’accento straniero spingono Giorgetti a chiedere chiarimenti. Neumann, messo alle strette, decide di fidarsi. “Siamo quasi tutti ebrei di Zagabria, fuggiti dal campo di internamento di Asolo. Ora siamo nelle tue mani”. Per Giorgetti i pericoli sono tanti. La recente liberazione di Mussolini è solo il preludio alla riorganizzazione del fascio repubblicano e, come se non bastasse, sono tanti i tedeschi in città. Non può, però, fare a meno di pensare che nel gruppo ci sono donne, anziani e bambini. E non può nemmeno nascondere a se stesso che fare altrimenti significherebbe abbandonare quelle persone a un triste destino. Decide così di farli rimanere, ma, da uomo pratico qual è, vede con chiarezza di non poter contare solo sulle proprie forze. Informa quindi la moglie Libia e, senza perdere tempo, parla della situazione all’amico Osman Carugno, alla guida della stazione dei carabinieri, che proprio in quei giorni si sta organizzando per aiutare i militari italiani e i soldati alleati evasi dai campi di concentramento a sfuggire ai tedeschi.
La situazione, però, precipita in poche settimane: con gli Alleati bloccati a Sud di Napoli, il fronte nazista schiera nella zona numerosi soldati di fanteria, che occupano alberghi e case proprio in città. Per il gruppo di ebrei, rimanere a Bellaria è un rischio troppo grosso. Grazie all’aiuto di un amico segretario comunale, Giorgetti e Carugno riescono a procurare nuovi documenti in bianco per i clandestini, poi completati con nomi e cognomi italianizzati e timbro falso. Con i tedeschi impegnati sulla costa per le operazioni antisbarco, Giorgetti intuisce che la soluzione migliore è muoversi verso l’entroterra. A fine novembre, l’intero gruppo si trasferisce in un grande casolare disabitato nella borgata di Capanni, nei pressi di San Mauro. Il nascondiglio è sicuro e, per non destare sospetti nei contadini della zona, le famiglie ebree si camuffano, adottano usi cristiani, mescolandosi fra la gente comune. Pochi mesi dopo accade l’irreparabile: l’intera zona, con la borgata di Capanni, è requisita dai tedeschi, decisi a intensificare la difesa sulla linea Gotica. Con l’ordine di sgombero incombente occorre trovare subito un nuovo riparo. Carugno propone di tornare a Bellaria, ospiti di un diverso albergo e sempre sotto copertura; Bellaria, infatti, brulica di fascisti e tedeschi ed è d’obbligo non rivelare a nessuno la vera identità dei rifugiati. Già in primavera, però, la presenza militare si fa sempre più pesante ed è chiaro a tutti che serve un rifugio alternativo. Dopo diversi spostamenti, il gruppo trova riparo presso le famiglie di Pugliano Vecchio, un piccolo villaggio con meno di cento abitanti. In breve tempo, i nuovi arrivati entrano nella quotidianità dei residenti e stringono legami. Ma l’attesa della liberazione si protrae, con la minaccia incombente dei rastrellamenti, che sfiorano più volte il piccolo abitato, e delle esecuzioni sommarie dei tedeschi.
La ferocia delle violenze e la fuga dei principali esponenti del fascio repubblicano lasciano però presagire l’imminente sfondamento alleato delle linee nemiche. “La libertà – scrive Drudi – per i trenta ebrei rifugiati a Pugliano arriva sulle gambe di una pattuglia di soldati inglesi e partigiani italiani”. È il 24 settembre 1944, oltre un anno dopo l’arrivo a Bellaria, quando Neumann può rivelare ai liberatori e alle famiglie che li hanno ospitati per così tanto tempo la loro vera identità.
La strada verso Bari e l’immigrazione clandestina è ancora lunga ma, prima di partire, c’è tempo per un ultimo incontro tra Joseph Konforti ed Ezio Giorgetti. “Si abbracciano, parlano, tornano ad abbracciarsi – racconta Drudi -. […] Sono quasi due mesi che Ezio non ha notizie dirette del gruppo: ora sa che finalmente sono tutti in salvo”. L’impegno di Giorgetti e Carugno viene riconosciuto, anni dopo, con il titolo di “Giusto”.
“Quasi all’inizio del Giardino dei Giusti, a Gerusalemme – prosegue Drudi -, dove gli alberi sono più alti e antichi, c’è un grande carrubo dedicato a Ezio Giorgetti, il primo in Italia ad avere ricevuto questo onore, il 16 giugno 1964. […] Inoltrandosi nel parco, dove gli alberi sono più giovani, si incontra quello piantato, nell’aprile del 1985, in memoria del maresciallo Osman Carugno”.