“Paese mio, ti lascio e vado via…”. Zweig, l’identità tormentata di un profeta

Libri

di Marina Gersony

«Caro amico! Questa lettera non è più firmata perché parto tra due ore […]. Ma se tutto va bene tornerò qui alla fine di gennaio e lavorerò di nuovo tutto d’un fiato. Continuo a credere che non si possa combattere l’hitlerismo più efficacemente che scrivendo buoni libri, rendendo così manifesta al mondo l’ingiustizia che ci viene fatta […]. Salutami la tua cara moglie».
Questa è una delle lettere che Zweig scrisse all’amico Sholem Asch. Come altri scrittori e intellettuali ebrei, anche lui lasciò l’Austria nel 1934 per stabilirsi prima in Inghilterra, poi negli Stati Uniti e infine in Brasile, dove si suicidò insieme alla seconda moglie il 22 febbraio 1942.
Già dal 1933, molto era cambiato anche nella vita privata dello scrittore, uno dei più affermati di lingua tedesca della prima metà del XX secolo, poiché i drammatici rivolgimenti politici in Germania diventavano sempre più evidenti. Zweig prevedeva che si sarebbero rapidamente diffusi anche in Austria e la casa di Salisburgo fu progressivamente abbandonata. Per il momento, l’epicentro della sua vita si era spostato a Londra.

Prima di partire, la sua preoccupazione era per una parte delle sue carte personali. Il trasferimento in Inghilterra lo costrinse a separarsi da gran parte delle sue carte e dei suoi archivi. Scelse di donare tutto all’università e alla Biblioteca nazionale ebraica di Gerusalemme ancora in via di sviluppo. Questa donazione avvenne sotto il segno di una stretta segretezza, perché doveva anche servire a nascondere le lettere dei corrispondenti e tutelarne l’incolumità: alcune avrebbero potuto avere conseguenze disastrose per il mittente e per il destinatario a causa delle posizioni palesi contro il regime nazista.
Zweig divenne apolide, essendosi rifiutato di farsi rilasciare un passaporto da un consolato tedesco nazionalsocialista istituito in seguito all’annessione dell’Austria da parte della Germania. A partire dall’Anschluss del 1938, e ancora di più dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, Zweig sviluppò una forte empatia per gli ebrei sotto occupazione tedesca. Per lui, era prioritario il sostegno a gruppi di emigrati ebrei, un atteggiamento descritto nella ricerca più recente nei termini di “etica della responsabilità”.

 

 

Una corrispondenza raccolta in un libro

Lettere sull’ebraismo di Stefan Zweig, a cura di Stefan Litt, è un libro prezioso che offre importanti spunti di riflessione, intuizioni e giudizi sull’ebraismo e sionismo resi disponibili per la prima volta in traduzione italiana.
Zweig proveniva da una famiglia ebraica viennese benestante e assimilata, in cui – come in molte famiglie acculturate del tardo XIX secolo – la tradizione ebraica appariva, a un primo sguardo, poco più che una traccia sbiadita e residuale.

Il volume comprende 120 lettere, la maggior parte delle quali inedite, e rappresenta una fonte primaria per esplorare la posizione dello scrittore sull’ebraismo grazie alla sua corrispondenza con personalità significative dell’epoca, tra cui Martin Buber, Albert Einstein, Sigmund Freud, Romain Rolland, Max Brod, Franz Werfel, Chaim Weizmann, Hermann Hesse e altri ancora. Zweig ebbe un legame tormentato, complesso e sempre più profondo con l’ebraismo, oggetto di una continua indagine personale inevitabilmente intrecciata con la tragicità del momento storico. Tuttavia, già nelle sue prime opere letterarie, il giovane Zweig affrontava temi ebraici. Pochi mesi dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale, in lui si consolidarono idee pacifiste e paneuropeiste, che cercò di contrapporre alle crescenti aspirazioni nazionaliste in tutto il mondo. Per Zweig, l’ebraismo doveva essere un fermento e un legame tra tutte le nazioni.

Sebbene l’ebraismo, secondo alcuni critici, non fosse necessariamente in primo piano nel suo pensiero e nella sua produzione – le lettere su questo tema rappresentano meno dell’uno per cento della sua intera corrispondenza in possesso dei curatori – una sensibilità ebraica era palesemente presente e incisiva nelle sue opere. Come annota il curatore, è chiaro che Zweig non volesse tematizzare il problema in modo esteso per iscritto, bensì preferisse affrontarlo di volta in volta nelle sue lettere e nella maggior parte dei casi in circostanze politiche culturali determinate.

L’importanza di questi scritti per ulteriori approfondimenti circa il complesso rapporto di Stefan Zweig con l’ebraismo, il sionismo e l’antisemitismo è evidente. Non sorprende dunque che la maggior parte dei destinatari di queste lettere fossero essi stessi ebrei: Zweig partiva dal presupposto che avrebbe trovato comprensione per le sue opinioni e per i suoi conflitti interiori innanzitutto con loro.
“Alla luce di idee apertamente razziste e antisemite che stanno affiorando in superficie in questo momento storico con il plauso di una parte della società, e che fino a poco fa sembravano appartenere definitivamente a un lontano passato, è impressionante”.
L’attualità del libro, inizialmente non intenzionale, è scioccante. I pensieri di Stefan Zweig e la sua nitida lungimiranza riguardo a fatti come la guerra e la Shoah, che fino ad allora erano inimmaginabili e divennero poi realtà, mostrano che tendenze simili non hanno perso nulla della loro urgenza anche ai giorni nostri. Come precisa il curatore, Zweig privilegiava questa voce pacata della ragione che anche oggi rischia nuovamente di essere sommersa nel frastuono del populismo. Alla presentazione di questa edizione si lega la speranza che questa voce continui ad essere percepita.

Stefan Zweig
Lettere sull’ebraismo, a cura di Stefan Litt, trad. Francesco Ferrari, Giuntina,
pp. 360, euro 20,00