di Giovanna Rosadini Salom
La straordinaria fioritura della letteratura israeliana contemporanea, con narratori come A. B. Yehoshua, David Grossman e Amos Oz, o poeti come Natan Zach, affonda le radici in una millenaria e ricca tradizione, di cui però il lettore comune conosce poco, a parte i collegamenti con gli antichi testi biblici. La recente traduzione dell’opera Narrativa Ebraica Moderna – Una letteratura nonostrante tutto, di Gershon Shaked (1929-2006), Edizioni Terra Santa, definito “il cartografo della letteratura ebraica”, che fu critico e docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, racconta come nasce la narrativa ebraica moderna, partendo dai pogrom russi del 1881 fino agli albori del movimento sionista, e arrivando agli anni Ottanta e Novanta del secolo appena concluso.
Un percorso che comprende quattro generazioni di scrittori, a partire dalla fine dell’Ottocento, quando la letteratura ebraica inizia una profonda trasformazione, cambiando lingua (passando progressivamente dallo yiddish all’ebraico, attraverso quella che fu soprannominata “la guerra delle lingue”), collocazione geografica (dall’Europa Orientale alla Palestina e all’America) e contenuti.
Fino agli anni Venti del Novecento il centro della produzione letteraria ebraica era stato Odessa, una sorta di Gerusalemme russa, dove esistevano scuole, case editrici, periodici ebraici, e vivevano scrittori come Mendele, Ahad Ha’am e Bialik.
Ma a seguito della Rivoluzione russa e della messa fuori legge degli studi ebraici e del movimento sionista, iniziò il rapido declino della letteratura europea in ebraico, che negli anni Trenta era già predominante rispetto alla letteratura yiddish, e aveva in Eretz Israel il suo centro di produzione, pubblicazione e diffusione.
All’inizio del decennio, la Germania sostituì per un breve periodo la Russia come cuore letterario, grazie anche alla presenza di autori come Bialik, Schmuel Yosef Agnon, Tchernichowski e giovani studiosi fra cui Gershom Sholem e Martin Buber. Ma anche questa dislocazione si rivela transitoria: il trasferimento del centro della letteratura ebraica in quelle terre di Palestina destinate a diventare il nuovo Stato di Israele fu progressivo e inevitabile, dice Shaked. In tal modo, la letteratura ebraica si trasformò da entità errante a espressione culturale definita, dotata di un proprio centro nazionale. I legami con la cultura ebraica tradizionale e con la letteratura yiddish si affievolirono con la progressiva presa di distanza dalle influenze religiose est-europee e ortodosse, e la letteratura ebraica si trovò ad affrontare, oltre alle questioni comuni a tutte le letterature, -ad esempio la tensione fra realismo e romanticismo-, anche problematiche sue peculiari: come ad esempio produrre una letteratura senza un tessuto sociale di riferimento (e dunque un bacino di utenza, un pubblico di lettori)?, un pubblico dotato di un’autonomia politica o almeno culturale? E come scrivere in una lingua antica che non possedeva i termini fondamentali per esprimere l’esperienza contemporanea? L’ebraico era stato, attraverso i secoli, il lashon hakodesh, la lingua scritta della liturgia religiosa e del pensiero filosofico, ma mai il veicolo della comunicazione parlata… In un saggio pubblicato nel 1908 sul periodico Revivim, lo scrittore Yosef Haim Brenner nota, a proposito della singolarità della letteratura ebraica, cui manca un retroterra nazionale, come “esistano scrittori, una manciata di autori dotati, dall’ispirazione divina, che vivono in mezzo alla loro gente e scrivono -in modo saltuario e nonostante tutto-”.
Scrivere, nonostante tutto
La produzione di questa “letteratura nonostante tutto”, come illustra meritoriamente l’opera di Shaked, è estremamente ricca e variegata.
Per quanto riguarda stile e contenuti, la produzione letteraria ebraica moderna elabora filoni propri, innanzitutto quello ispirato all’epopea sionista, ma rimangono forti i legami con la cultura occidentale europea, che resta una fondamentale fonte d’ispirazione, e di cui gli autori ebrei sono profondi conoscitori, oltre che traduttori.
I temi principali originariamente focalizzati -nella letteratura diasporica- sullo spirito del popolo ebraico, riguardano ora la lotta per il futuro della nazione nella nuova terra; la letteratura parla della nuova società e del suo possibile sviluppo futuro; i suoi protagonisti, i nuovi personaggi, sono i pionieri e i combattenti, i padri fondatori e i sabra, descritti nei conflitti che li agitano, e una schiera di intellettuali, pragmatici, disillusi e sradicati o idealisti sognatori.
Per rappresentare la nuova realtà ebraica, la letteratura utilizza i materiali tradizionali e religiosi, laicizzandoli. L’imperativo sionista sostituì i precetti religiosi, autori come Bialik, Berdyczewski e Agnon santificarono l’arte, e altri scrittori fecero lo stesso con la natura, il duro lavoro o l’amore.
Dalla fine del XIX secolo, la narrativa in ebraico si sviluppa seguendo due tendenze: la prima pone l’accento sul contesto sociale; gli scrittori che ne fanno parte, da Mendele ad Abraham Laib Ben-Avigdor (Shaikovich), Bialik, Shlomo Zemach, Yehuda Burla, Yitzhak Shami e Moshe Shamir, vogliono rappresentare il mondo socio-economico e politico in forma diretta e partecipata, e puntano pertanto a scrivere romanzi sociali. La seconda tendenza risale ad autori come Frischmann e Berdyczewski, e annovera quindi personalità come Brenner, Uri Nissan Gnessin, Elisheva Bikhovski, David Vogel, Yacoov Horowitz e Pinhas Sadeh, fino ad arrivare ad Amos Oz e A.B. Yehoshua; questo gruppo è più interessato a esplorare la psiche umana, piuttosto che alla rappresentazione della realtà sociale. Concentrandosi sul mondo interiore dei personaggi, sviluppano storie d’amore o di genere confessionale. In questo quadro, peraltro non rigido, Agnon crea uno stile unico, collocandosi al crocevia della nuova letteratura in ebraico. Nelle sue opere s’intersecano le diverse correnti letterarie, nel segno di una continuità con la tradizione; il contesto sociale fa da sfondo alle vicende dei suoi personaggi e alla loro realtà psicologica ed emotiva.
Se quella di Shmuel Yosef Agnon, premio Nobel per la letteratura nel 1966, rimane una figura di eccellenza, la letteratura ebraica dell’ultimo secolo si evolve attraverso quattro generazioni di scrittori. La prima opera tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento; gli scrittori che ne fecero parte vissero nella diaspora e conobbero i pogrom e le successive migrazioni del popolo ebraico. Ad essa appartennero Mendele, Frishmann, Peretz, Berdyczewski e Ben-Avigdor, autori che scrissero in yiddish oltre che in ebraico. Contemporaneamente a loro, furono attivi scrittori della comunità palestinese della Prima Aliyà e del vecchio “Yishuv” (gli originari insediamenti in Erez Israel), come Y. Barzilai-Eisenstadt e M. Smilansky, che descrissero la loro esperienza dalla Terra d’Israele.
La seconda generazione appare all’inizio del XX secolo, e comprende diverse personalità, Bialik e Brenner fra le principali. Essi diedero vita, stabilitisi in Palestina, alla nuova letteratura nazionale (israeliana) in ebraico. La terza generazione compare sulla scena letteraria alla fine della Prima guerra mondiale, e coloro che ne fanno parte (Nathan Bistritski, Ahron Ever-Hadani, Yitzak Shenhar, Yehoushua Bar-Yosef, Horowitz e Hazaz), arrivarono in Erez Israel con la Terza e la Quarta Aliyah, dopo esperienze indelebili come la Seconda guerra mondiale e l’Olocausto, in cui scomparve uno degli autori riconducibili a questo gruppo, David Vogel.
La quarta generazione, infine, è per lo più costituita da sabra; i più anziani esordiscono alla fine degli anni Trenta, i più giovani alla fine degli anni Cinquanta. Tutti gli scrittori che ne fanno parte sono segnati dall’esperienza dello sterminio, dalla guerra d’Indipendenza e dalla fondazione dello Stato d’Israele, e tendono a essere più critici nei confronti della tradizione ebraica e, a volte, dell’ideologia sionista. Gli esponenti di questa generazione sono Binyamin Tammuz, Moshe Shamir, Yonat e Alexander Sened, Yehuda Amichai, Aharon Applefeld, Amalia Kahana-Carmon, Yoram Kaniuk, Amos Oz, A.B. Yehoshua, Yehoshua Kenaz e altri. Come ancora Orly Castel-Bloom che lavora su neologismi e linguaggi tratti dallo slang, Zeruya Shalev… Gershon Shaked, con la sua opera, offre al lettore una ricognizione sulla giovane e vitalissima letteratura di un giovane Paese, cresciuta insieme alla consapevolezza di un popolo passato da una condizione diasporica a un’identità nazionale, e ci racconta una storia di rinascita: di un popolo, di una lingua, di una realtà culturale.