di Paolo Castellano
Luci e ombre sul pontificato durante la Shoah
Si è parlato e ancora si parla, dopo l’apertura a marzo degli archivi vaticani, dell’operato di Eugenio Pacelli, Papa Pio XII, durante l’ascesa e lo sviluppo del nazifascismo in Europa. Tuttavia, come ha scritto lo storico sociale delle idee David Bidussa nel suo ultimo saggio La misura del potere. Pio XII e i totalitarismi tra il 1932 e il 1948, il Vaticano dovette fare i conti anche con altri totalitarismi di diversa provenienza, compreso quello locale incarnato dal regime di Mussolini. Pio XII si è mosso in un quadro storico complesso che soltanto lo studio dei documenti d’archivio potrà spiegare. Abbiamo dunque intervistato l’autore per approfondire alcuni temi presenti nel suo saggio. Protagonista del suo libro è la Chiesa, ma ampio spazio è dedicato anche a Eugenio Pacelli, Papa Pio XII. Su questo pontefice sono stati espressi diversi giudizi – soprattutto riguardo ai suoi silenzi. L’apertura degli archivi aiuterà a fare chiarezza sull’operato di Pacelli durante gli anni dei totalitarismi, e in particolare durante gli anni della persecuzione ebraica in Italia e nel resto dell’Europa? Penso che sicuramente verranno fuori molte novità. Probabilmente nessuna di queste novità darà perfettamente ragione a una parte o all’altra. Ma secondo me rappresenterà una sorta di composizione di quadri già tra loro molto diversi. Per prima cosa, i documenti parlano di un contesto ma io non mi devo dimenticare che quando apro un archivio, trovo i documenti che un ordinatore ha deciso di conservare. Non trovo “tutti” i documenti. Seconda cosa, gli individui, singolarmente e in associazioni, cioè quando si comportano come strutture sociali, fanno dei compromessi con la realtà. Puntano a realizzare quello che pensano sia il loro obiettivo. Devono misurarsi con le costrizioni della realtà. Quando ragioniamo su quel contesto ci sono molti fattori che dobbiamo prendere in considerazione. Anche l’atteggiamento della Chiesa nei confronti della Shoah va considerato dentro a queste variabili. Perché se non si considerano queste variabili si capisce molto poco. Il tema principale del saggio è il rapporto tra la Chiesa e il potere totalitario. Considerando i documenti citati nel suo libro, come si sono posti i vertici del Vaticano nei confronti del nazismo, comunismo, franchismo e fascismo? Dove si è cercato un compromesso e dove invece si è imposta una marcata ostilità? La Chiesa ha un rapporto di rifiuto con i totalitarismi. I totalitarismi non piacciono. I totalitarismi come regimi politici significano e hanno come fine un controllo totale sulle strutture sociali e culturali di una società. Il totalitarismo è un sistema che la Chiesa non gradisce, per questo tenta di contrattare spazi. Accade anche nel caso italiano: tutti pensano che sia un totalitarismo più amico. È vero che il fascismo firmò un concordato con la Chiesa ma è anche vero che, a partire dal 1931 – è per questo che ho scelto il 1932 come anno canonico di concetto – c’è stato il primo vero conflitto tra le due parti. La distinzione da tener presente, è una distinzione di modulo e non di teoria. Ci sono totalitarismi con cui la Chiesa va a patti o si confronta, o con cui cerca di contrattare. Questi totalitarismi appartengono alla famiglia dei fascismi. Il totalitarismo con cui in assoluto la Chiesa non vuole trattare è l’Unione Sovietica. Durante la seconda guerra mondiale e durante la persecuzione ebraica da parte dei totalitarismi, si discusse molto di una possibile “Home” ebraica in Palestina. Qual è stata la posizione di Pio XII sulla possibilità di istituirla? La Chiesa fu contraria all’ipotesi della spartizione della Palestina che venne proposta dal piano Peel, dal 1937 al 1938. Era contraria perché il suo problema era capire chi avrebbe controllato i luoghi santi in Palestina. Il suo dubbio o perplessità fu il ritorno in massa di ebrei in Palestina che avrebbe rimesso in discussione gli equilibri del controllo sui luoghi santi – che invece sono stati in qualche modo statuiti e stabiliti a partire dalla metà degli anni ‘30 con le potenze o famiglie locali di tipo arabo. Una posizione che la Chiesa ha avuto sin dagli anni ‘30, per non dire dagli anni ‘20. Lo dicono i documenti impostati dalla Segreteria di Stato del 1929, nel periodo delle prime grandi insurrezioni arabe contro gli insediamenti ebraici in Palestina, ed è una posizione pubblica e non clandestina, che la Chiesa mantiene a lungo. E la posizione sull’antisemitismo? La Chiesa durante la guerra, anche se non ha avuto una posizione esplicita di condanna dell’antisemitismo, ha fatto tutta una serie di azioni in cui gli ebrei sono stati salvati. Secondo me, questa cosa non la possiamo mettere da parte. Significativamente, il primo confronto pubblico con l’ebraismo avviene il 29 novembre del 1945, in Città del Vaticano tra il Papa, la Segreteria di Stato e una delegazione di ebrei reduci dai campi di sterminio che hanno ringraziato pubblicamente il pontefice. Come dire, questa è una partita molto complicata che va tenuta in equilibrio, in cui tante parti non vanno dimenticate ma fanno parte della stessa scacchiera. Non c’è qualcuno che abbia un posto centrale e qualcun altro no. Per questo va tenuto uno sguardo multilaterale e non univoco.
David Bidussa, La misura del potere. Pio XII e i totalitarismi tra il 1932 e il 1948, Solferino, pp. 272, euro 16,15