di Fiona Diwan
Un pastorello che suona l’arpa e placa le angosce di un re, Saul. Un imberbe ragazzino che uccide un gigante e diventa un guerrigliero. Un bandito che si dà alla macchia e sconfigge i nemici con le sue scorrerie. E ancora: un poeta che scrive liriche sublimi, un mistico che danza per l’Onnipotente, un amante appassionato, un anziano sovrano che consuma la sua vecchiaia tra congiure, debolezze, adulteri. Chi era davvero David haMelech?
Un mito? Un personaggio storico realmente esistito? Se lo è chiesto Ugo Volli, studioso di ebraismo, semiologo, docente universitario e autore di numerosi saggi, da sempre attratto da questa figura-simbolo del popolo ebraico. «David è l’eroe che si conquista il trono con la pazienza e le gesta, è il debole che sconfigge il forte, l’uomo completo in religione, arte, battaglie, sovranità, giustizia. Edifica un regno ed è il re d’Israele per antonomasia, che simboleggia la legittimità della nazione ebraica e del suo stato. Un uomo passionale e fallace, non un santino. Soprattutto un modello di regalità positiva, a tal punto che persino Carlo Magno vorrà farsi chiamare David, nel momento in cui fonda il Sacro Romano Impero», spiega Ugo Volli. Un mito che è il cuore dell’identità con cui da sempre si misurano gli ebrei.
Tre anni di lavoro, 500 pagine che scorrono in una narrazione fluida e godibilissima, il libro Musica sono per me le Tue leggi – Storie di Davide, re di Israele (La nave di Teseo, 24,00 euro) narra le gesta di re David con le fonti storiche e rabbiniche alla mano (l’apparato di note è impressionante), dai libri biblici di Samuele e Cronache, ai Salmi e Midrashim, fino alle più recenti evidenze archeologiche.
Una narrazione che restituisce le sfumature, la ricchezza di luci e ombre di questo personaggio leggendario. «Inizialmente l’idea era di scrivere qualcosa di più romanzesco. Strada facendo mi sono accorto che non ne ero capace, la mia deformazione professionale andava verso forme più documentate. Perché ho scelto re David? Perché è il personaggio che più ci rappresenta, in cui ci identifichiamo di più, un emblema, un simbolo, lo specchio dell’autocoscienza ebraica. Insomma, uno dei pochi grandi eroi della nostra storia, pieno di pecche e sommamente imperfetto, capace di clamorose disperazioni, pentimenti e resurrezioni interiori. Che cade e si rialza, come il popolo ebraico. Un personaggio che accetta il suo destino fino in fondo, percorre la sua strada senza mai dubitare del Cielo, in contatto con Dio e in ascolto della propria voce interiore come pochissimi altri, animato da una emunà totale. Era interessante l’idea di un personaggio che ne fa più di Bertoldo ma che è anche colui che ci insegna che la Tefillà si può cantare. Il canto unito alla preghiera non è forse qualcosa di molto ebraico?».
Lei paragona spesso Davide a Odisseo, entrambe figure mercuriali, avventurose, inquiete, capaci di suscitare fedeltà e amicizia, esperte nella metis ovvero l’arte pratica dell’opportunità e del sapersela cavare, anche con l’inganno.
Ci sono molti tratti comuni tra i due personaggi. David vive poco dopo la guerra di Troia, è quasi contemporaneo di Achille, Ettore, Ulisse. Siamo in un mondo barbarico e crudele, un universo tribale immerso in un caos geopolitico assoluto. E gli ebrei, come ci dice il libro di Samuele, sono un minuscolo popolo che tenta di non farsi stritolare dalla bellicosa anarchia circostante, un territorio su cui domina il numeroso e potente popolo dei filistei. Siamo circa nel 1000 AEV (la data ipotizzata della vita di David è 1040-970 AEV; morirà a 70 anni, dicono i Maestri; tra Mosè e David intercorrono cinque secoli).
Nel libro, lei parla di David come di una figura a suo modo rivoluzionaria.
Sì, lo è. È il primo personaggio della tradizione ebraica e l’unico grande re della storia a dire “mi pento”, dopo l’adulterio con Betsabea accetta la punizione con tratti dolenti, si assume in toto la responsabilità per i fatti che accadono. Dimostra una capacità introspettiva unica. Non era mai successo prima d’ora, né nella Torà né altrove. Dunque la sua è una sensibilità profondamente religiosa. Ma allo stesso tempo notiamo in lui un grande realismo strategico, quasi alla Machiavelli, una maestosa dimensione etico-spirituale pur nella consapevolezza della propria mendacità. David aderisce con naturalezza al proprio destino, non si tira indietro, affronta gli ostacoli in modo diretto e quasi facile come ad esempio nella sfida con Golia: è poco più di un ragazzino ma egli stesso dice tranquillamente a Saul che ha già abbattuto orsi e leoni che insidiavano il suo gregge e che quindi può benissimo battersi contro Golia. Non è tronfio, è come se accettasse di vedersi chiamato, prescelto, come se intuisse che il suo destino è voluto da qualcosa di più forte di lui. Ad esempio, quando è braccato dalle armate di Saul, David decide di andare a trovare riparo dai nemici acerrimi, i filistei: prende le mogli e i figli, la sua tribù e i suoi soldati, e va a vivere in mezzo ai filistei, non ha un dubbio, eppure è una scelta inaudita, pericolosissima, e anche sospetta di tradimento, ma è come se egli si sentisse protetto da uno scudo celeste. Vivrà tra i filistei per un anno e mezzo, senza che nulla gli capiti.
Lei presenta David come il più grande personaggio politico della storia ebraica. Ma la sua storia non è fatta solo di successi, specie nel periodo del Regno.
A ben guardare, gli ultimi anni della vita di David sono i meglio documentati. Ma sono anche un fallimento totale, una cronaca infinita di intrighi di corte, di vicende trucide di tradimenti e uccisioni che sembrano precipitarci in uno scenario alla Shakespeare nel Re Lear. È un racconto affascinante, unico. Da un punto di vista storico-letterario, è la prima volta che tutto ciò è narrato: non avremo più, fino a Tucidide, cronache di corte del mondo antico come queste. Del resto sappiamo che Shakespeare attinge proprio da qui e che la lettera di Amleto ad esempio, è ispirata a una lettera analoga nell’episodio con Betsabea e Urià l’ittita. Storie che diventeranno un paradigma letterario per la narrativa occidentale posteriore.
Quando si affrontano temi o personaggi biblici, muoversi con disinvoltura tra mito e storia non è semplice. Qual è stata la sua chiave di lettura?
La chiave è che la figura di David sia una specie di cerniera tra due epoche, tra due momenti clou della storia ebraica. Una cerniera tra mito e storia appunto, tra mito e politica. Prima di David ci sono i Giudici, Sansone, Deborah, i Giganti… Fin lì, tutto il racconto è intriso di leggenda e di mito. Dopo Davide invece, il piano della narrazione cambierà definitivamente, il portato mitico si allenta e scompare. David fonda il regno, e edificare uno stato vuol dire per il popolo ebraico diventare “come gli altri”, e per il re vuol dire la ricchezza, il potere, gli intrighi, l’invidia. Dopo David la dimensione mitica e oracolare scompare, il realismo fattuale irrompe nella narrazione, troveremo una storia tutta dinastica, di successioni e di re. Dopo Saul e David – e solo in parte Salomone -, nessun re successivo avrà più un legame con la voce del cielo, con una dimensione altra che gli parla.
Inoltre, David è un personaggio totalmente umano, mai mitizzato. Saranno i rabbanim, i Maestri posteriori, a farne un mito, una leggenda. Nel testo biblico David è un carattere, vediamo un personaggio che agisce secondo la propria psicologia, una figura credibile e viva che fugge, ama, compone versi, si finge pazzo, si dispera e si straccia le vesti, che sa essere spietato se occorre…
David poeta e musicista: l’idea che sia stato il compositore dei Salmi è controversa. Li ha scritti davvero lui? Li ha composti Mosè? Il Salmista? Un gruppo di anonimi poeti-sacerdoti leviti?
Che la maggior parte dei Salmi siano opera di David lo si legge nei Salmi stessi e lo conferma la tradizione, che è la mia fonte. Da parte mia, ho usato il fatto che molte di queste poesie ci informano delle circostanze della loro composizione, legandola a certi momenti della vita di David. Dunque, ho raccontato le varie circostanze della sua vita, il rifugio nelle grotte, la paura, i nemici che lo perseguitano, le fughe, le battaglie, l’amore, accostando a questi fatti esterni la voce di David che si alzava e invocava l’aiuto dell’Onnipotente, il cuore traboccante di timore e tremore. Ho letto insomma questi testi meravigliosi come fossero anche il diario interiore di ciò che sente il personaggio mentre lo sta vivendo. Ho lasciato tra parentesi il senso liturgico dei Salmi e ne ho evidenziato lo slancio esistenziale, ne ho sottolineato la dimensione intima e vibrante di angoscia o di gioia, o quella più squisitamente politica. Comunque si tratta di una forma di altissima poesia esistenziale in un momento della storia umana in cui ancora nessuno scrive poesia: i lirici greci giungono dopo cinque secoli, nel VI-V secolo, l’Iliade e l’Odissea sono state scritte dopo i Salmi la cui datazione è del XI-X secolo AEV. Inoltre, non va dimenticato che i Salmi sono tra le prime forma-preghiera della storia umana, dopo la preghiera di Hanna. Credo davvero che circa la metà dei 150 salmi siano di pugno di Davide e anche nel libro di Samuele, David è indicato come l’autore dei Tehillim.
David è un personaggio anche pieno di difetti, sbruffone, ipocrita, machiavellico…
È il suo fascino. Ad esempio, Saul viene punito per il suo credersi irreprensibile; ora, nella Torà, nessuno è adamantino, senza pecche, la perfezione non è dell’uomo, inclusi i tre patriarchi (Abramo e Isacco spacciano le loro mogli per sorelle abbandonandole alla concupiscenza del sovrano da cui si rifugiano per sopravvivere alla carestia; Giacobbe addirittura si traveste per rubare la primogenitura a Esaù, ingannando il padre). Nella Torà troviamo una idea molto chiara dell’imperfezione, poiché chi si presenta come perfetto è a rischio di idolatria per se stesso, e l’idolatria è il peccato capitale. Forse per questo Saul viene punito: per il suo considerarsi perfetto, giusto. Salvo poi, come ci dice il racconto, precipitare nelle crisi di rabbia del ciclo bipolare-depressivo.
Inoltre, c’è un dettaglio ricorrente che fa riflettere: la genealogia di David è “ibrida”, sfacciatamente impura, accoglie e include lo straniero; il Mashiach – che è Ben David e discenderà da lui -, erediterebbe quindi una genealogia che passa per una storiaccia come quella di Tamar che seduce Yehudà vestita da meretrice, Tamar che viene dalla Mesopotamia; o ancora per Ruth la moabita che amerà Boaz in un campo di grano, anche lei una straniera: gher, una parola, un dettaglio che il testo biblico ribadisce di continuo, affatto casuale… Insomma, nel Tanach non troviamo nessuna agiografia, nessun intento apologetico o mitologizzante: tutto è umano, realistico, ci sono persone in carne, sangue, ossa, passioni, fallimenti, errori…
La figura di David è stata tra le più rappresentate dalla storia dell’arte ma nel saggio non ci sono raffigurazioni. Perché?
Ci sarebbe voluto un secondo libro! Tuttavia, lei ha ragione. A questa indagine mancano due aspetti per essere completa: il primo è proprio l’iconografia di David così come si è andata costruendo in secoli di storia dell’arte; ci sono epoche che hanno privilegiato il David musico e poeta ispirato dai cieli (Guercino), il donnaiolo che concupisce Betsabea (Memling, Guido Reni, Paris Bordon,…), David simbolo della regalità o ancora il giovane pastore che abbatte il gigante (Donatello, Caravaggio, Cima da Conegliano…), l’immagine del guerriero virile e trionfante (Michelangelo)… La verità è che ogni epoca ha scelto il suo David: nel Medioevo ad esempio lo si raffigura sempre adulto e in trono; nel Rinascimento come un giovane condottiero pieno di vigore e vis guerriera… Spero di poter colmare presto questa lacuna.
Inoltre c’è un secondo aspetto: un David più intimo, il giovane “affamato” di giustizia che emerge dai Salmi: l’uomo che si arrabbia per la prepotenza dei potenti, che soffre per l’ingiustizia, che sente il dolore del mondo, una sorta di weltschmerz. Molti Salmi sono dedicati all’idea che sarà l’Onnipotente a vendicarlo dei tanti malvagi che popolano il pianeta, che grazie a Lui verrà apparecchiato il banchetto di giustizia che celebra la Sua gloria contro il male. Come è scritto in Devarim, “Giustizia, giustizia cercherai”: ecco, David è anche questo, fa sua l’idea – sarà così anche per Isaia e altri profeti – che debba esserci una giustizia per i deboli. Una dimensione totalmente rivoluzionaria questa, specie nel mondo antico.
La giustizia come imperativo etico ma anche come promessa di ottenerla in questa vita e non nella vita futura. Poiché nell’ebraismo tutto avviene quaggiù, su questa terra, non lassù.
E ancora, c’è infine il David mistico, l’idea di una religione estatica, ispirata, una dimensione da danzare e da cantare. Una sensibilità che non ritroveremo più, che rimanda a una presenza diretta, vicina e intima della trascendenza, a una dimensione del miracoloso che dopo David si perderà, finendo per prevalere una religione del Tempio, del Libro, dei sacerdoti.
Che cosa possiamo imparare noi oggi, tremila anni dopo i fatti, dalle storie di David?
Possiamo usarlo come uno specchio per cercare di capire la nostra identità collettiva. Ancora noi lo consideriamo il re di Israele per eccellenza, usiamo il suo simbolo, il “Maghen David” come nostro emblema, ancora il suo nome è quello più diffuso nel mondo ebraico. Dobbiamo approfondire questa identificazione, raccontare le sue storie che pochi conoscono fino in fondo, interrogarci sulla sua e sulla nostra identità.
Il libro verrà poi presentato per Kesher domenica 20 novembre alle 17.00 da rav Alfonso Arbib, rav Alberto Somekh e Marco Ottolenghi.
Introduce Marco Ottolenghi
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