Se la memoria scivola via come scaglie

Libri

di Fiona Diwan

“Non sono mie queste poesie. Vengono da voci raccolte, recuperate, usurpate. I loro autori sono sopravvissuti, salvati, rivissuti… Io sono soltanto in ascolto nell’incavo del loro dolore, della loro memoria”. Poesie che sono spazi bianchi nel bianco, testimonianze di un “esilio dalla vita”, scaturite dai frammenti di testimonianze raccolte nelle registrazioni della Shoah Foundation di Spielberg e ascoltate dopo, voci di ebrei arrivati in Venezuela dopo la deportazione e i lager nazisti. A parlare così, nell’introduzione al suo libro di poesie Noi, i salvati, è Jacqueline Goldberg, scrittrice, poetessa, saggista venezuelana figlia di scampati alla Shoah, qui alle prese con quella che lei stessa chiama “poesia documentale”, ovvero una scrittura che “annoda i fili sottili della letteratura e del giornalismo” e che “nel farsi documento si disfa, si reinventa, si rimodula”, diventa collage, rottura, voci dal basso… Memoria che scivola via come scaglie, schegge testimoniali trasformate in versi che trafiggono e interrogano il lettore sull’esilio dalla vita, esilio a cui spesso si riduce la condizione ultima del sopravvissuto.

Un libro che è “una coraggiosa declinazione della memorialistica della Shoah”, tratto da racconti in prima persona e “versificando le parole dei superstiti con il proposito di darci un’altra idea dell’offesa subita e farne nuovamente cosa viva”, spiega il curatore Flavio Fiorani. Un’operazione ardita e spregiudicata quella della poetessa Goldberg, che fa ricorso a una parola restituita, strappata all’intento commemorativo e consegnata al tempo dell’oggi. Una poesia documentale, spiega Fiorani, “che interroga il groviglio esistenziale del sopravvissuto con un’estetica che traduce il ricordo in scrittura letteraria”. Ecco alcuni esempi.

Robert Frank: I cadaveri si accumulavano./ Ti lavavi il viso / e accanto avevi una catasta di cento morti / Dovevamo aiutarli a metterli sul camion, / caricarli come fossero legname, / un mucchio di roba informe. /Avevo quattordici anni. / La morte non era grave.

Nusia Wacher in Wacher: Abbiamo sentito le grida dei vicini / li stavano portando via. / Dopo è seguito un silenzio di tomba. / Nella notte siamo usciti / – tutto era trasparente – / di corsa per i campi innevati. / Avevamo paura / perfino della nostra ombra.

Sonia Tress in Gruszka: Ci portavano/ alla fossa in cui dovevamo morire. / Ero furiosa, / volevo solo vivere. / A mia madre dicevo cose orribili: / «guarda quell’uccellino che vivrà un giorno di più», /«guarda quella bambina come è felice, invece io dovrò morire», / E imprecavo: /«perché mi hai messo al mondo?».

Jacqueline Goldberg, Noi, i salvati,
a cura di Flavio Fiorani, Valigie rosse, pp 172, 16,00 euro