di Paolo Castellano
L’ultimo giorno della Fiera milanese dell’editoria è stato apprezzato dagli amanti della letteratura israeliana moderna. Il 23 aprile i due appuntamenti dedicati agli scrittori David Grossman e Ayelet Gundar-Goshen hanno attirato numerosi lettori che hanno partecipato con interesse alle due presentazioni.
Presso la sala Verdana di Tempo di Libri si è svolto il dibattito intitolato Mio, tuo, vostro a cui hanno partecipato il celebre autore israeliano David Grossman, il giornalista Wlodek Goldkorn e la scrittrice Caterina Bonvicini. La conversazione dei tre relatori è partita dall’analisi di alcuni temi presenti nell’ultimo romanzo di Grossman intitolato Applausi a scena vuota (Mondadori).
Goldkorn ha dato avvio all’incontro letterario chiedendo a Grossman se uno scrittore con i suoi libri possa perfezionare o migliorare il mondo in cui egli vive praticando una sorta di Tiqqun biblico. Il romanziere israeliano ha risposto al quesito illustrando inizialmente il suo rapporto con la religione: «Come è noto sono una persona laica e quindi non credente però sono conscio di avere determinate radici e mi sento profondamente ebreo. Inoltre in me è sempre viva la consapevolezza della tragedia della nostra storia, del mio popolo. Non sono credente perché considero la religione come qualcosa che ci deresponsabilizzi. Da laico so che per me non ci sarà una seconda possibilità e partendo da questo riscontro cerco di affrontare nel migliore dei modi quello che mi accade ogni giorno».
Grossman parlando di stile di scrittura ha espresso la necessità di tornare a una letteratura di precisione:«La nostra realtà è molto pregna, densa, e possiamo ribellarci a questa offerta chiamando le cose con il proprio nome. Quando scrivo, passo ore e ore a cercare una frase più pura, un particolare che contrassegni meglio la realtà. Più ricca è una lingua e più una vita ne è toccata. Scrivere bene non è più sufficiente, dobbiamo essere più precisi e passare dalla parola al mondo».
Nell’ultima parte dell’incontro lo scrittore israeliano ha parlato del suo rapporto con Gerusalemme ricordando che tranne Amos Oz, lui e Abram Yehoshua hanno deciso di lasciare la capitale israeliana perché troppo oppressiva: «Parlare di Gerusalemme in questo momento è molto difficile. Parecchi anni fa, prima dell’avvento dei telefonini, ero in Portogallo in vacanza con mia moglie. Dovevamo chiamare casa. Ci passarono una centralinista e noi le dicemmo di voler un contatto con Gerusalemme. La signorina si mise a ridere e ci disse: “Signori, non posso mettervi in contatto con Gerusalemme perché Gerusalemme è in paradiso!», ha raccontato Grossman suscitando le risate del pubblico.
«Oggi Gerusalemme, che è sempre stata una città concreta, non è affatto un paradiso ma il cuore del conflitto con gli arabi. Mi spiace dirlo ma la mia città è pervasa da un certo fanatismo, violenze e fascismo da entrambe le parti. Per 3mila anni Gerusalemme è stata la culla della filosofia e per me è sconcertante che oggi ci sia così tanto fondamentalismo e fanatismo. Io e Abraham ci siamo trasferiti perché c’era un clima che non si poteva più tollerare. Gerusalemme è una città sorprendente ma è uno dei posti più orribili perché avvelenata dal mancato raggiungimento della pace. Noi israeliani però sbagliamo a reclamare la pace perché abbiamo diritto ad abitare nella nostra casa e gli altri ad abitare nella loro. Dobbiamo garantire al prossimo una vita se vogliamo goderci la nostra. Questo sarà un procedimento graduale e ci vorrà molto per calmarsi. Gerusalemme deve tornare ad essere una città in cui ci sia una speranza di crescere i propri figli senza ombre. Noi abbiamo bisogno di far luce e di essere illuminati e viceversa».