Tra Illuminismo e Romanticismo: come i tedeschi divennero ostili agli ebrei considerati “antiquati” e… sacrificabili

Libri

di Ugo Volli

[Scintille. Letture e riletture] Una delle domande angosciose che si incontrano cercando di capire la Shoah è la questione dell’appoggio popolare e della partecipazione di massa che ebbe l’antisemitismo nazista. Una domanda che vada al di là dei luoghi comuni sulla “follia” di un leader politico ossessionato per motivi incomprensibili dall’odio per gli ebrei e sulla “banalità del male” nella catena dei responsabili che dai gerarchi del nazismo ai carnefici dei Lager avrebbero solo obbedito “senza pensare” ai suoi ordini.

C’è infatti una questione generale, che purtroppo oggi sentiamo di nuovo attuale: com’è possibile che un’intera popolazione partecipi o almeno non si opponga all’umiliazione, all’emarginazione, alla strage di propri concittadini evidentemente innocenti, accusati solo della loro origine etnica e religiosa? Ma c’è anche una domanda specifica: perché questa complicità popolare nel genocidio degli ebrei si è avuta soprattutto in Germania, che un secolo fa come oggi aveva fama di essere la nazione più grande, più prospera, più colta, più ricca d’arte d’Europa? Non tanto nei paesi poveri, affetti da analfabetismo, legati a mentalità antiche, ma nel cuore dell’Europa, in quella cultura che moltissimi ebrei, anche grandi intellettuali come Hermann Cohen, trovavano così consonante agli insegnamenti più profondi dell’ebraismo da sentire che le due realtà si fondevano integralmente e senza contrasti nel loro pensiero?

Vi sono state molte ricerche per capire le dinamiche politiche, economiche, comunicative, che hanno portato all’affermazione del nazismo e vi sono molti libri che ricostruiscono come la diffusa cultura popolare o populista (in tedesco völkisch) abbia costituito la base dell’adesione di molti. E però tutto ciò può spiegare la facilità di diffusione del nazismo fra le classi popolari e fra i giovani; ma forse non basta a capire come l’ideologia genocida abbia attecchito altrettanto facilmente nelle università e fra i grandi intellettuali che erano numerosi in Germania tanto nel settore scientifico che in quello umanistico.

Per capirlo può essere utile un libro recente (La «Bildung» e l’insidia dell’antigiudaismo fra Settecento e Ottocento in Germania di Sergio Campagnano, Giuntina) che si occupa in apparenza di un tema marginale, quello dell’affermarsi dell’ideale dell’“educazione” o della “cultura” (questo è il significato di Bildung), nelle generazioni di Kant, Hegel, Goethe, Mendelsohn. È il periodo in cui si forma nel regno di Prussia la coscienza tedesca moderna e anche la sua cultura. Semplificando molto, vi sono due grandi correnti che si combattono, quella illuminista e quella romantica. Entrambe pensano che lo sviluppo di un’ideale di cultura sia fondamentale, anche se lo vedono in maniera molto diversa. E la stessa cosa, per merito soprattutto di Mendelssohn, accade nel mondo ebraico, almeno in quella parte che si illude di potersi inserire nel contesto tedesco proprio aderendo con amore alla cultura tedesca. Ma entrambi i movimenti sono ostili agli ebrei: a quasi tutti gli illuministi gli ebrei paiono antiquati, sterili, troppo fedeli alla tradizione per meritare l’emancipazione; e ai romantici sembrano uno “stato nello stato”, nemico della Germania, da espellere e talvolta da sterminare, sulle tracce di Lutero. Con una ricerca molto dettagliata e precisa, Campagnano mostra in sostanza che la cultura tedesca moderna nasce antigiudaica, se non antisemita; un tratto che nonostante l’assimilazione e perfino le conversioni di moltissimi ebrei e le loro illusioni di essere diventati profondamente tedeschi, non perderà mai la sua virulenza e che spiega almeno in parte l’adesione degli intellettuali al nazismo, cent’anni dopo.