di Pier Cesare IOLY ZORATTINI
Elia Boccara, dopo il bel volume dedicato alla storia della sua famiglia, In fuga dall’Inquisizione, ha ora rifatto “gemere i torchi” presentandoci una vera e propria autobiografia, un libro di memorie che abbraccia l’arco di tempo dalla nascita al 1962, anno in cui si stabilì definitivamente in Italia. Un volume le cui pagine, che scorrono fluidamente, ci offrono il sapore del suo vissuto: si ripercorrono gli eventi della sua vita, le curiosità, gli affetti, gli amori, gli studi, il lavoro, gli amici e la famiglia sempre in primo piano.
L’autore parte dalla vivace ricostruzione del milieu ebraico di Tunisi e in particolare della Comunità di appartenenza della famiglia paterna, i Boccara, la Comunità Portoghese degli ebrei livornesi (Un mondo diviso) descrivendone le peculiarità rispetto a quella degli ebrei autoctoni e arabofoni residenti nella Hara, l’antica giudecca di Tunisi. Ne emerge il senso di superiorità dei labronico – portoghesi, fortemente europeizzati, nei confronti degli ebrei indigeni economicamente e culturalmente arretrati.
Legato all’infanzia è il tema del rapporto fra l’ambiente famigliare e il fascismo, di cui Elia respirò il clima nelle scuole elementari italiane che ebbe modo di frequentare negli anni Trenta, perfino dopo la promulgazione delle Leggi razziali nel 1938. I bambini ebrei a Tunisi, infatti, non ne vennero esclusi, così il piccolo Elia potè concludere il ciclo delle elementari con un maestro di grande umanità, proveniente da un paese dell’Appennino emiliano, Pietro Repetto.
L’affermarsi del fascismo condizionò profondamente il sentire degli ebrei italiani di Tunisia dove, tuttavia, gli effetti della abominevole legislazione razziale italiana del 1938 furono in qualche modo attutiti. Qui infatti, sebbene suo padre Giorgio perdesse ufficialmente la «carica di Agente Generale dell’INA in Tunisia», gli fu consentito di mantenere il posto di Reggente. Malgrado questa relativa mitigazione, la discriminazione provocò una profonda disaffezione nei riguardi dell’Italia anche nella sua famiglia: gli zii chiesero e ottennero la cittadinanza francese, mentre Giorgio si mantenne fedele all’Italia. Una fedeltà che, nel 1940, gli costò un mese e mezzo di internamento al Kreider, un campo di prigionia e di lavoro coatto in Algeria in pieno Sahara, ai confini con il Marocco, in seguito alla dichiarazione di guerra alla Francia da parte dell’Italia. Gli anni difficili e drammatici della Seconda Guerra mondiale e l’occupazione da parte dei Nazisti della Tunisia (1942-1943) sono efficacemente fatti rivivere nel nono capitolo (Nella tormenta) e così pure il complesso momento della liberazione da parte delle truppe anglo-americane che misero fine all’incubo (La chiamavano liberazione). Tuttavia, fu ben alto il prezzo da pagare da parte della comunità italiana, ebrei compresi: la soppressione delle scuole e delle altre istituzioni italiane in Tunisia e, soprattutto, per parecchi, i campi di concentramento, gli espropri e le espulsioni.
Nell’autunno del 1946, Elia si iscrisse al prestigioso liceo francese di Tunisi, il Lycée Carnot. Come egli stesso racconta, era allora in questo liceo il solo allievo ebreo rimasto italiano «coi sentimenti oltre che con il passaporto», una situazione identitaria che non gli procurò problemi. Gli anni del liceo Carnot furono fondamentali per la sua formazione culturale: i due universi paralleli, quello dei compagni di classe e dei professori, ci offrono uno dei capitoli più avvincenti dell’intera autobiografia. Sfila dinanzi a noi tutta una galleria di compagni di classe dai marcati caratteri, da quell’Eugène Enriquez imbattibile sul versante umanistico ma scarso nell’odiata matematica, a Philippe Bessis, uno «scansafatiche intelligente» che collezionava abiti all’ultima moda e «faceva stragi di cuori»; o infine quel Marcel Sfez «il grande burlone della classe». Il catalogo dei professori non è meno assortito. Si va dal “normale” Monsieur Duvernet, professore di francese, che con le sue avvincenti lezioni si era guadagnato la stima e la simpatia degli studenti, ai “complessati” Monsieur Samborg e Monsieur Deschenaux, rispettivamente docenti di latino e di matematica, che non perdevano l’occasione per esternare i loro malumori agli allievi. Infine, quel Monsieur Lepleux, professore di storia, il cui formalismo rasentava il ridicolo «con qualche punta di sadismo», ricorda Boccara. Malgrado la riacquistata libertà, si trattava tuttavia di anni difficili anche per la famiglia di Elia. Come infatti faceva notare, egli, benché ebreo, pagava «le colpe di un fascismo del quale era stato, in realtà, una vittima». La risoluzione dei problemi finanziari di suo padre Giorgio avvenne quando lo zio Gabriel Valensi gli cedette la proprietà e la direzione dell’ufficio brevetti, lasciatogli dal padre, per dedicarsi in Francia alla carriera universitaria. Così Giorgio Boccara fu in grado di provvedere agli studi universitari di Elia in Italia: una scelta, come scrive Elia, fatta «per orgoglio», un orgoglio trasmessogli da suo padre e che, alla fine, ha fatto dell’Italia la sua patria d’adozione. Questa scelta gli escluse la via dell’aliyà (allora il padre non avrebbe approvato) dopo la nascita dello Stato ebraico nel 1948, un evento per lui fondamentale, che contribuì alla ridefinizione della sua identità ebraica. Nel capitolo La nascita d’Israele, Boccara evidenzia come il suo attaccamento a Israele si sia fondato su due elementi: la sua appartenenza al popolo ebraico e alla sua cultura e il rapporto tra questo popolo ed Eretz Israel, la terra bagnata dal Mediterraneo con capitale Gerusalemme, un senso di appartenenza che si rafforzò quando venne a conoscenza della Shoà. Iniziò gli studi universitari a Pisa presso la Facoltà di medicina con l’idea di divenire psichiatra; tuttavia, dopo un promettente primo anno, Elia a causa delle difficoltà rappresentate dall’esame di anatomia rimeditò la sua scelta e, dati i suoi interessi umanistici, si iscrisse a Storia e Filosofia a Roma dove seguì le lezioni di Filosofia teoretica di Ugo Spirito.
A Roma iniziò a frequentare l’ambiente della Comunità ebraica dove conobbe Serena Volterra, figlia di un negoziante di tessuti, che divenne la sua prima moglie. Poco prima delle nozze, tuttavia, Serena si accorse di avere un tumore al seno che si rivelò dei più gravi. Malgrado ciò ella riuscì a partorire una figlia, Antonella, spirando quindici giorni dopo. Questa situazione drammatica segnò la vita di Elia che dovette far ritorno con la figlia a Tunisi, in famiglia. Laureando, si trasferì alla più vicina Università di Palermo dove si laureò con pieni voti e lode con una dissertazione su Il problema della scelta nella filosofia della religione di Bergson. Si dedicò quindi a Tunisi all’insegnamento e all’attività giornalistica per l’Agenzia Italia, impegnato anche nello sviluppo dei rapporti culturali tra Sicilia e Tunisia, forte della sua nomina a rappresentante in Tunisia dell’Istituto Italiano per l’Africa. In occasione della sua partecipazione a un campeggio ebraico in Italia, Elia conobbe Franca Brod, che sposò a Milano nel 1961. La sua sposa, che aveva vinto un concorso nelle Scuole superiori a Milano, rimase per un solo anno a Tunisi.
Nel 1962 Elia fu trasferito a Napoli, mentre tale trasferimento venne negato a Franca. Il rientro da Tunisi della coppia in Italia iniziò quindi con una separazione tra Milano e Napoli. Ma oggi, a oltre mezzo secolo di vita in comune in Italia con i loro figli e nipoti, Elia e Franca si godono una meritata vecchiaia nella loro Milano. Formuliamo un augurio: che Elia possa offrirci una ulteriore puntata del racconto della sua vita avvincente.
Elia Boccara, Un ebreo livornese a Tunisi. Affetti trovati e perduti tra Tunisi, Italia e Israele, Giuntina, pp. 263, euro 15,00