di Cyril Aslanov
[Ebraica. Letteratura come vita] Nel 2011 ho pubblicato nella rivista francese La vie des idées un articolo intitolato La séduction israélienne de la renonciation au passé [“la seduzione israeliana della rinuncia al passato”] dove analizzavo il successo della giovane letteratura israeliana all’estero come risultato della volontà di staccarsi dal passato ebraico come per aprire una nuova pagina, una tabula rasa.
Diversamente da Aharon Appelfeld, autore nato nella Diaspora, per il quale la tematica della Shoah costituiva una fonte inesauribile d’ispirazione, molti autori israeliani si caratterizzano per la volontà di concentrarsi sul hic et nunc. In effetti, il passato ebraico della nazione israeliana viene talvolta percepito come troppo pesante per essere trasposto nella scrittura romanzesca. Non è solo una questione di rimozione del trauma, bensì la conseguenza della “negazione della Diaspora” (shlilat ha-golah), uno degli assiomi fondamentali dell’ideologia sionista nella sua versione classica.
Il romanzo La casa sull’acqua (Bayit ‘al mayim rabim) di Emuna Elon, pubblicato nel 2016 e nel 2021 nella traduzione italiana di Elena Loewenthal, rappresenta una notevole eccezione della tendenza a rinunciare al passato e ad evitare i temi legati alla Shoah.
Si potrebbe pensare che quest’eccezionalità sia dovuta al fatto che l’autrice proviene da ambienti sionisti religiosi e non dalla bohème telaviviana, ma è molto più complicato. La casa sull’acqua è una mise en abyme delle difficoltà parzialmente superate a scrivere sul tema della Shoah.
La finzione ci presenta la figura di Yoel Blum, autore nato in Olanda poco prima della Shoah. Blum è arrivato giovanissimo nella Palestina mandataria e si considera un vero sabra. Eppure, dopo un viaggio quasi casuale in Olanda, Blum, che non sa neanche parlare l’olandese, scopre progressivamente la storia della sua famiglia, la sorte tragica di una parte di essa e il segreto della sua propria origine: in Olanda non si chiamava né Yoel, il suo nome in Israele, né Leo, il suo nome prima della fuga in Palestina, ma Sebastiaan… Ma non voglio svelare l’enigma che rende la lettura di questo romanzo così affascinante.Dunque, questo autore israeliano quasi sabra che risponde al nome di Yoel Blum, decide di scrivere un romanzo su un passato che sta ricostituendo poco a poco come un puzzle.
A partire dal momento in cui lo scrittore israeliano riesce a raccogliere parecchi dati sulla storia della propria famiglia durante la Seconda guerra mondiale e sul suo proprio destino, comincia a scrivere un romanzo i cui brani si intrecciano con la narrazione-quadro del libro. Yoel Blum, che all’inizio del libro si glorificava di scrivere solo sul presente e il futuro piuttosto che sulla palude del passato, si riconnette con la storia degli ebrei di Amsterdam che è la sua propria storia.
Durante quest’odissea iniziatica alla ricerca della sua vera identità, Blum rimane affascinato dal quadro De zee (“Il mare”) del pittore olandese Jan Toorop (1868-1928), dipinto che oggi si trova nel Rijksmuseum ma che Elon immagina sia un’opera d’arte confiscata a un collezionista ebreo di Amsterdam, Maarten Russo, assassinato ad Auschwitz con tutta la sua famiglia, lasciando il figlioletto, unico sopravvissuto.
Attraverso la sua scrittura sensibile e sottile, Emuna Elon dimostra una stupenda capacità di empatia con la figura di un autore che coincide parzialmente con il suo proprio universo di riferimento. Come lei, Yoel Blum fa parte di una tendenza abbastanza modernista dell’ebraismo ortodosso, ma qui finisce l’analogia fra la scrittrice e il suo protagonista scrittore.
Con una grande finezza, Elon è stata capace di percepire la tonalità particolare dell’ebraismo olandese e della città di Amsterdam. Riesce a rendere palpabile il contrasto fra l’apparente bonomia della Venezia del Nord e un passato losco dove una grande parte degli olandesi ha collaborato alla soluzione finale per sottomissione passiva all’occupante tedesco piuttosto che per odio attivo, come in altri paesi dell’Europa dominata dalla Germania hitleriana. L’ecfrasi, la descrizione inserita nel contesto narrativo, del quadro di Toorop costituisce il leitmotiv dell’intero romanzo, il cui titolo ebraico Bayit ‘al mayim rabim non è soltanto una reminiscenza dell’espressione biblica le grandi acque (Cantico dei Cantici 8:7) ma anche una formula che si può intendere come un riferimento ad Amsterdam, città costruita sulle acque, o più profondamente come la metafora di una scrittura connessa con il passato, in questo caso, il passato talvolta rimosso della Shoah.
(Il romanzo La casa sull’acqua ha vinto il Premio Adelina Della Pergola dell’Adei Wizo).