di Ilaria Myr
“Gli ultimi sessant’anni hanno evocato forti emozioni. Eppure all’interno di questo scenario, è stato creato uno Stato vitale e dinamico che viene riconosciuto come un successo, perfino all’interno del mondo arabo. (…). L’intenzione di questo libro è di spiegare la ragion d’essere di uno Stato degli ebrei e di illustrare la storia d’Israele usando il metro di paragone dei dibattiti politico-ideologici e delle polemiche interne. Questo libro ripercorre questa straordinaria odissea e si ripropone di mettere in luce i criteri del percorso seguito”. Con questa chiara dichiarazione di intenti inizia il viaggio nella storia di Israele del nuovo libro Israele. Dal 1948 a oggi, appena uscito dalla casa editrice Beit di Trieste (pp 587, 22 euro): autore del saggio è Colin Shindler, docente e specialista in Israeli Studies alla School of Oriental and African Studies (University of London), e presidente della neonata European Association of Israel Studies (EAIS).
Un volume importante, che analizza con dovizia di dettagli e informazioni la storia dello Stato ebraico dalla sua nascita ai giorni nostri. Una edizione italiana arricchita di tre nuovi -e inediti-, capitoli finali di aggiornamento, che coprono gli ultimi quattro anni di storia, fino al settembre del 2011, e che la stessa edizione inglese ancora non presenta.
Con Rabin cambia il passo
La tormentata vita di Israele è analizzata da Shindler con l’occhio dello storico, appassionato ad una delle più inusitate storie nazionali dell’epoca contemporanea. Una pagina di storia che narra di un Paese inesistente solo settant’anni e diventato uno dei protagonisti del mondo contemporaneo con una forza propulsiva e innovativa unica, malgrado i conflitti. Un percorso pieno di ostacoli, un’odissea appunto, come la definisce Shindler, in cui tutto è nato dal nulla, o quasi, e altrettanto velocemente si è evoluto in qualcos’altro. Come spiega chiaramente l’autore: “Israele, nel suo settimo decennio di vita, è molto lontano dallo Stato fondato nel 1948. Gli anni in cui Adolf Eichmann fu arrestato in Argentina e portato in Israele per essere sottoposto a un processo, sono ora un lontano ricordo. C’è tuttavia ancora un senso di entusiasmo in Israele per quello che è stato raggiunto grazie alla sua ribellione contro il posto che era stato assegnato agli ebrei nella storia. (…). Persiste comunque il senso del viaggio e della scoperta, e l’idea che il presente sia di gran lunga migliore della passività e delle persecuzioni del passato”. Il processo di maturazione della nazione ebraica viene analizzato in 17 capitoli, che trattano le diverse fasi della storia di Israele. Si comincia con il sionismo, che Shindler tratta con il chiaro obiettivo di andare al di là delle troppo frequenti demonizzazioni di cui è oggetto ormai da tempo. I difficili anni immediatamente successivi alla fondazione dello Stato, con la nascita di una repubblica ebraica e del primo governo, sono analizzati da Shindler con un’attenzione particolare alla politica interna del Paese e alla costruzione dell’identità nazionale, un processo vivacissimo e in continua evoluzione in un’epoca di edificazione ex novo di una realtà nazionale. Lungo il filo della storia dello Stato ebraico, il libro ripercorre le varie guerre in cui è stata coinvolta la nazione, sviscerandone sia le conseguenze interne sia gli effetti sulla sua posizione internazionale. Non a caso, un capitolo intero sul dopo guerra del Libano è intitolato “Un dissenso all’interno e all’estero”. Andando avanti negli anni, passando per i governi di destra, si arriva all’epoca di Rabin, che per Shinlder segna la fine dell’ideologia sionista: “L’elezione di Yitzhak Rabin nel 1992 non fu solo un abbandono dell’ideologia sionista, bensì la dichiarazione da parte dell’opinione pubblica israeliana che non intendeva più rimanervi intrappolata. C’era una presa di coscienza del fatto che sia Israele, sia i palestinesi e, in effetti, il mondo erano cambiati dal 1948”.
Storicizzare l’attualità
Ma sono soprattutto gli ultimi capitoli, pubblicati solo nell’edizione italiana, quelli che ci raccontano l’Israele di oggi, ripercorrendo un quinquennio ricchissimo di avvenimenti cruciali per la storia del Paese e del conflitto con i palestinesi, e inseriti in un quadro globale altrettanto complesso. L’insuccesso della guerra con Hezbollah nel 2006, che avrebbe portato poi il premier Ehud Olmert alla sconfitta elettorale, e, parallelamente, l’elezione di Hamas a Gaza sono, secondo Schindler, la cornice in cui si inserisce la storia recente di Israele, caratterizzata, da parte palestinese, dalla lotta fra Hamas e Al Fatah e, da parte israeliana, in ginocchio dai razzi Qassam, dalla perdita di fiducia negli accordi di Oslo “visti sempre di più come un’epoca di ingannevole ingenuità”.
A ciò si aggiunga la crescita del pericolo iraniano e di quello siriano, con lo sviluppo di armi non convenzionali, e l’ingresso nello scenario di forze terze, quali la Corea del Nord, favorevole a Hamas e a Hezbollah: si va affermando una prospettiva quasi inevitabile di una nuova guerra missilistica. Interessanti e curiosi, a questo proposito sono gli aneddoti, forniti da Shindler, sulle azioni degli israeliani per contrastare i preparativi nemici in atto: come, ad esempio, il virus informatico Stuxnet, che ha mandato in tilt l’impianto iraniano di arricchimento dell’uranio a Natantz, e che firmava i danni arrecati con il numero 19790509. “Alcuni hanno interpretato questo codice come un riferimento al 9 maggio 1979, il giorno in cui un imprenditore ebreo, Habib Elghanian, era stato messo a morte dal regime di Khomeini, che lo aveva accusato di fare la spia a favore di Israele”. E che dire poi dell’Operazione Piombo Fuso, lanciata su Gaza in risposta allo stillicidio di missili Qassam verso il Sud Israele, nel dicembre del 2008? Durata quasi un mese, l’Operazione ha avuto conseguenze politiche ben al di fuori della regione: ad esempio, il rafforzamento dei rapporti tra l’Iran e molti regimi latino-americani. E poi c’è il discusso rapporto Goldstone, “accusato di eccessiva mitezza sulle responsabilità di Hamas e in particolare sul modo in cui erano stati utilizzati gli scudi umani durante l’Operazione Piombo Fuso”. La vicenda della Flottiglia turca che voleva sbarcare a Gaza e di cui Shindler stesso mette in dubbio la natura puramente pacifista, “contribuì al crescente isolamento di Israele e segnò un’altra batosta nella politica estera del governo Netanyahu”. Ma è soprattutto la politica degli insediamenti, portata avanti con convinzione dal primo ministro israeliano, a portare a uno stallo nelle trattative di pace e a un raffreddamento con gli Usa di Barack Obama.
L’attualità più stretta della “primavera araba” è affrontata nelle ultimissime pagine del libro, dove si dice che essa ha “generato un riallineamento contro Israele di vari Stati che un tempo gli erano amici o perlomeno pseudo-amici, senza che in cambio giungesse da parte del governo Netanyahu, alcuna nuova iniziativa”. Ma anche “in casa” la politica di Bibi non è certo apprezzata: e lo hanno dimostrato le tendopoli degli indignados che quest’estate hanno portato più di 300.000 persone nelle strade delle città israeliane a protestare contro la politica economica e il carovita. Una risposta verrà dalle elezioni politiche del 2013: ma quale? È un quadro incerto e amaro, quello su cui si conclude il libro: “Molti israeliani si domandavano che cosa avrebbe riservato loro il domani, mentre i missili puntati su di loro aumentavano, diventando sempre più perfezionati e potenti”. Tra attualità e storia politico-sociale, ecco un libro che ha il sapore di una ricognizione critica più che non di una riflessione storica. Un saggio che ama le domande, che lascia aperte le risposte e non esita a puntare il dito contro scelte come quelle della stagnazione e dell’isolazionismo attuali. Sempre secondo Schindler.