di Michael Soncin
«La mattina, fin dall’inizio: sole, caldo, fumi, aerei, bombardamenti, incendi. Lo ricordo ogni giorno. Se qualcuno volesse immaginarsi le tre distruzioni di Varsavia, settembre 1939 l’insurrezione del ghetto dal 19 aprile al 20 maggio suppergiù, e l’insurrezione di Varsavia del 1944, tenga presente che avvennero tutte sotto questo sole, questa calura, questi incendi, questi aerei».
In Memorie dell’insurrezione di Varsavia il poeta polacco Miron Bialoszewski (1922-1983) descrive la sua città nativa distrutta dai nazisti, al termine di una rivolta che durò 63 giorni, dal 1° agosto, al 2 ottobre del 1944, quando l’esercito
polacco cercò di liberare Varsavia dai tedeschi prima dell’imminente arrivo dei sovietici. Che cosa ne rimarrà? Una ferita ancor oggi aperta, una città sbriciolata e migliaia di persone morte. Furono 200.000 i civili uccisi. Pubblicato nel 1970, nell’edizione italiana uscita per Adelphi, il curatore Luca Bernardini, oltre a corredare il volume con note, mappe e il glossario dei luoghi, contestualizza la vicenda in un saggio che si snoda tra la vicenda storica e la memoria di Bialoszewski. «Deportazioni dal ghetto in vagoni pieni di cloro, dove si moriva. Deportazioni nei lager. Le deportazioni ai lavori forzati erano già una bella fortuna. Però mica si sapeva mai come e perché», scrive Bialoszewski. Lui stesso fu deportato ai lavori forzati in Germania, ma poi riuscì a fuggire facendo ritorno a Varsavia.
Miron Bialoszewski, Memorie dell’insurrezione di Varsavia, a cura di Luca Bernardini, pp. 320, € 22,00