di Ilaria Ester Ramazzotti
“Il destino della mia vita è incredibilmente diventato quello di testimoniare l’assurdità dei provvedimenti razzisti, che hanno colpito perfino me che mi sento del tutto estraneo alla questione e ho sempre negato qualsiasi solidarietà di razza, qualsiasi solidarietà che non fosse puramente umana”. A parlare è l’editore e scrittore Angelo Fortunato Formìggini, (Modena, 21 giugno 1878 – Modena, 29 novembre 1938) attraverso la penna di Marco Ventura, che alla sua vita e alla sua morte ha dedicato il libro ‘Il fuoruscito’, pubblicato quest’anno da Piemme con la prefazione di Aldo Cazzullo.
Aperto al mondo, caratterizzato da una profonda curiosità intellettuale e da un elegante e immancabile senso dell’umorismo, Formiggini proviene da una antica famiglia ebraica modenese e il 29 novembre del 1938 sale i 190 gradini della Ghirlandina, la torre che affianca il Duomo di Modena, per suicidarsi per protesta contro le leggi razziali di Mussolini, lanciandosi nel vuoto al grido di “Italia! Italia! Italia!”. In una lettera alla moglie Emilia Santamaria, redatta quello stesso mese, scrive: “Appartengo ad una famiglia di cui molti rami sono cattolici da generazioni remote: i miei immediati e diretti ascendenti non furono battezzati, ma ebbero dal governo dei Papi, prima della Rivoluzione francese, patenti “di discriminazione” per la loro onestà, che li affrancarono da quegli umilianti segni di distinzione e da tutte le altre limitazioni che allora, in quei tristi tempi, erano in voga e che ora riaffiorano più truci e malvagie. Sopprimendo me, affranco la mia diletta famigliola dalle vessazioni che le avrebbero potuto derivare dalla mia presenza: essa ridiventa ariana pura e sarà indisturbata. Le cose mie più care, cioè il mio lavoro, le mie creature concettuali, invece di scomparire, potranno risorgere a nuova vita”.
Il volume di Ventura ripercorre la figura e il percorso esistenziale del “Formaggino da Modena”, come Formiggini ama firmarsi fin dai tempi del liceo, quando inizia a scrivere righe satiriche e goliardiche. La narrazione scorre su un doppio binario, da un lato in corsivo e in prima persona, a rievocare le parole dell’ebreo modenese, dall’altro in tondo per rendere il contesto anche storico di quelle parole. Una narrazione da cui riecheggiano un’infanzia e una giovinezza agiata trascorsa fra la frazione Collegara di Modena, dove la famiglia Formiggini ha proprietà immobiliari, e poi Bologna e Roma, dove Angelo Fortunato si laurea rispettivamente in giurisprudenza e in filosofia, con una tesi in morale dal titolo “La Filosofia del ridere”. L’altra sua tesi, a giurisprudenza, si intitola invece ‘La donna nella Torà in raffronto con il Manava-Dharma-Sastra: contributo storico giuridico ad un riavvicinamento tra la razza ariana e la semita’.
Emergono poi la sia passione e la sua dedizione di editore, fra Genova e Roma, seppur non sempre coronate dal successo economico. Nel 1908 inizia pubblicando ‘La secchia’, con sonetti burleschi inediti del modenese Alessandro Tassoni. Segue a breve una ‘Miscellanea tassoniana di studi storici e letterari’ con prefazione di Giovanni Pascoli, con cui intrattiene un rapporto di corrispondenza e di amicizia, come anche con Benedetto Croce e altri letterati del suo tempo. E del 1909 la collana ‘Profili’, per cui escono 129 titoli fino al 1938. Pubblica inoltre la ‘Rivista di filosofia’, organo della Società filosofica italiana, dal 1909 al 1918. Nel 1912 dà inizio alla collana ‘Classici del ridere’, il suo maggiore successo, che arriva a 104 titoli. Nel 1918 dà vita alla ‘Casa del ridere’, biblioteca-museo dell’umorismo che accoglie qualsiasi opera artistica e letteraria inerente al genere, e fonda ‘L’Italia che scrive’, rinomato mensile d’informazione letteraria che diventa poi l’organo ufficiale di una delle sue più ambiziose iniziative, l’Istituto per la propaganda della cultura italiana.
L’istituto, fondato nel 1921, avrebbe dovuto operare in Italia e all’estero sotto la presidenza onoraria dei ministri degli Esteri e della Pubblica istruzione. Iniziativa che su intervento di Giovanni Gentile, allora ministro della Pubblica Istruzione, prende in seguito il nome di Fondazione Leonardo per la cultura italiana, di cui Formiggini perde però la presidenza. Ma non è tutto. Il più grande progetto editoriale e culturale concepito dall’editore modenese, la Grande Enciclopedia Italica, gli viene scippato sempre da Gentile che lo reindirizza all’editore Giovanni Treccani, il quale negli anni mette in campo una delle più note pubblicazioni del Paese di sempre. Formiggini, nel 1923, reagisce allo scippo con un pamphlet satirico intitolato ‘La ficozza filosofica del fascismo’. La ficozza, in romanesco, è il bernoccolo che si forma sul capo di chi riceve un colpo.
Sempre nel ‘23 pubblica la collana ‘Antologie’ sui diversi orientamenti filosofico-religiosi, dal taoismo, al cristianesimo, dall’ebraismo, all’ateismo, mentre nel 1924 fa uscire la collana ‘Medaglie’, dedicata alle personalità di rilievo di quegli anni, da Benito Mussolini, a Filippo Turati, a Luigi Sturzo, e poi la popolare collana ‘Chi è?’, con varie biografie di personaggi di attualità. Pubblica infine nel 1928 il ‘Dizionarietto rompitascabile degli editori italiani, compilato da uno dei suddetti’, uno spaccato del mondo editoriale dell’epoca, ripubblicato da altri editori anche in anni recenti.
Di formazione intellettuale liberale e massonica, Formiggini non sembra mai abbracciare del tutto il fascismo italiano. Forse lo fa all’inizio del ventennio per senso di patriottismo, perché si sente profondamente italiano e anche innamorato del patrimonio culturale della Penisola, che tanto vorrebbe promuovere e diffondere nel mondo. Nel tempo e sotto vari aspetti si dimostra tuttavia critico verso il fascismo e Mussolini, fino a subire il grande trauma rappresentato dalle leggi razziali del 1938. Intellettuale inquieto e poliedrico, verso la fine della sua vita scrive: “Mi sento un ‘fuoruscito’ sotto tutti punti di vista. Forse la mia essenza è quella dell’estraneo a ogni consorteria, classe, razza, partito. Sono fiero delle mie idee, anche di quelle delle quali vorrebbero che mi vergognassi, come altri vorrebbero che mi vergognassi del mio sangue ebreo che non mi definisce, e anche il sangue è fuoruscito, trasfuso dalla mia fede nell’umanità”.
Quando dall’alto della Ghirlandina si erge nel vuoto ha in tasca due lettere, una per il re e una per Mussolini, oltre che 200 mila in contanti per dire che non si uccide per ragioni economiche. “Ho lasciato una lettera al re, per dire a Sua Maestà che la campagna razzista è considerata da tutti noi italiani alto tradimento – spiega Formiggini -. E al Duce ho scritto: «Questa volta ti sei proprio sbagliato… Non è pieno medio evo questo in cui ci hai precipitati? Salva la Patria dal maleficio se non vuoi che tutto crolli… L’intera nazione si vergogna. Nessuno osa dirtelo… Il tuo genio proteiforme possa suggerirti la via per rimediare al tristo errore». Poi gli ho rivolto come saluto un grido terribile: «Italia! Italia! Italia!»”. Era arrivato in treno da Roma il giorno prima, per morire nella sua Modena, sul pezzo di selciato vicino al Duomo che lui stesso, nel suo dialetto modenese, aveva denominato “Al tvajol ed Furmajin”: il tovagliolo del Formaggino.
Marco Ventura, Il fuoruscito. Storia di Formiggini, l’editore suicida contro le leggi razziali di Mussolini, Piemme, pp. 303, euro 19,50.