di Claudio Vercelli
[Storia e controstorie] Anne Frank: ebrea, donna, resistente. Per questo è ancora un simbolo e un bersaglio. L’odio incoercibile di negazionisti, fascisti, maschilisti in branco
La memoria di Anne Frank, il cui Diario ha avuto una diffusione pressoché universale, è a tutt’oggi oggetto di astiose e offensive contese da parte non solo di chi nega che la giovane vittima sia perita per davvero nel lager di Bergen-Belsen.
Infatti, in una sorta di capovolgimento logico che è tuttavia tipico degli ambienti sia del neonazismo e del cosiddetto «fascismo del terzo millennio» che di altre aree del radicalismo politico-sociale, c’è chi ha continuato a contestare la veridicità della sua esistenza come, soprattutto, quella della sua testimonianza letteraria. Così facendo ha spesso intervallato a tali dinieghi anche il riconoscimento che la Frank, in quanto ebrea, si sarebbe comunque meritata la fine che ha concretamente subito. In cosa consista un tale esito è presto detto poiché il rimando da parte dei suoi detrattori è sempre e comunque ai «forni crematori». Così negli striscioni infami, nei cori obbrobriosi, nei turpi graffiti delle tifoserie ultras, veri habitat di incubazione delle peggiori sconcezze e abiezioni.
Ma non solo in questi gruppi, che pure hanno una consistenza per nulla trascurabile, molto spesso incontrandosi e ibridandosi con l’estremismo politico nazistoide e fascistico. I lettori non si stupiscano peraltro della coesistenza, a volte nel “pensiero” delle medesime persone, di atteggiamenti allo stesso tempo affermazionisti (“sono morti”) e negazionisti (“non sono mai morti”). Non c’è tra costoro un obbligo di coerenza. Nell’uno e nell’altro caso l’elemento di congiunzione è semmai dettato dalla fantasia cospirazionista per la quale dietro ad ogni «giudeo» ci sarebbe una truffa. L’unica soluzione definitiva a questo stato di cose sarebbe quella di eliminare fisicamente i truffatori. Ma, ed è questa la negazione che si accompagna spesso all’invettiva, proprio perché gli ebrei sono dei falsificatori provetti, pur meritandosi il peggiore trattamento, si sarebbero comunque inventati uno sterminio ai propri danni. Il quale – invece – mai ha avuto concreta realizzazione. Il tutto per ricattare l’umanità intera, si intende.
Intorno all’autenticità del Diario ci sono state ripetute contese, perizie e riscontri, battaglie giuridiche risoltesi tutte nel medesimo modo, ovvero comprovandone la veridicità.
Fin qui il già noto. Perché però, per deformare o negare l’evidenza storica, si fa ancora maniacale ricorso ad Anne Frank? Per quale ragione i farabutti della contromemoria sembrano essere ossessionati più che mai dalla sua immagine? Il Diario, infatti, non ci parla né della Shoah né esclusivamente delle persecuzioni, di cui pure lei, e la sua famiglia, furono pur vittime. Non pulsa dentro lo sterminio ma ai suoi bordi, restituendoci piuttosto una serie di immagini molto dense sull’esistenza segregata di un’adolescente che cercava, malgrado tutto, di diventare donna. Le sue pagine sono intrise di questa coscienza di sé, un germoglio che cercava di sedimentarsi. Proprio per questa naturale disposizione letteraria i quaderni dell’alloggio segreto, in quanto parte organica del Diario per come lo conosciamo, sono assurti a testimonianza assoluta, paradigmatica di una condizione umana sotto scacco. Per l’appunto, non parlano di distruzione della vita, ma della sua compressione.
Tuttavia, negazionisti e neonazisti fin dagli anni Cinquanta si sono scagliati contro il testo. E poi, in immediata successione, contro la sua autrice. Quale interesse avrebbero, se in fondo le menzioni ad una possibile distruzione sono a malapena accennate, a proseguire in questa sconcia deturpazione di un’evidenza storica? Non esiste una risposta univoca. In parte, se si intende entrare nella forma mentale antisemitica, come già si diceva bisogna tenere in considerazione il fatto che in essa coesistono sempre elementi antitetici: “non gli è successa la tragedia che lamentano ma se la sono meritata”. Una contraddizione in termini che serve però a rafforzare il pregiudizio di disumanità con il quale si bolla le vittime.
C’è tuttavia dell’altro da considerare. Anne Frank, infatti, è assurta a simbolo dell’umanità che resiste. La resistenza è qui quella che un essere umano esercita contro la ferocia di una società che sembrava essersi invece coalizzata per distruggerne le residue speranze di sopravvivenza. Ciò che è inconcepibile per la mentalità totalitaria è che gli individui si sforzino di preservare uno spazio privato, una dimensione autonoma, un ambito non omologabile alla volontà di cui un regime assolutistico afferma di essere depositario.
Il Diario testimonia questa disperata e sincera resistenza. Conta poi anche un altro fatto, altrimenti spesso trascurato. Anne Frank è una giovane e fragile donna, ovvero un essere umano che aspira a vivere pienamente la sua identità di genere in divenire. Per ideologie machiste e maschiliste, basate su una miscela di virilismo, misoginia e prevaricazione, l’immagine sessuata di Anne Frank, spesso accostata oltre che ai forni crematori anche a quella della prostituzione, e a elementi similari, rafforza l’istinto gregario di sopraffazione. La logica del branco è qui in immediata azione. Rimane il fatto che di certo l’autrice di quelle pagine mai si sarebbe aspettata di assurgere al ruolo di testimone della vita, quell’esistenza che, pur essendole stata strappata, palpita ancora tra le righe del suo Diario.