Alla vigilia del Giorno della Memoria, ha aperto un vero e proprio dibattito il pamphlet di Elena Loewenthal Contro il Giorno della memoria (addEditore), appena uscito.
Come scrive il direttore Fiona Diwan nell’editoriale del numero di febbraio del Bollettino attualmente in pubblicazione, il libro -politicamente molto scorretto, scritto tutto in soggettiva da una scrittrice che da anni riflette sul tema e che si dichiara da sempre “ossessionata dalla Shoah” – prende le mosse da un grappolo di domande: che cosa sta diventando il 27 gennaio? Un contenitore vuoto, una cerimonia stanca, una finta riflessione che approda a uno sterile rituale, uno spazio da addobbare con la retorica?
E la memoria, prima ancora che degli ebrei, non dovrebbe essere dell’Europa intera?, elaborata e fatta propria e non invece museificata e imbalsamata come accade oggi? Secondo Loewenthal, questa giornata è un grande errore collettivo, l’errore di chi vuole provare, un giorno all’anno, ad addolcire la coscienza civile e alleggerire il senso di colpa. L’errore sta nel considerarla come un tributo, un simbolico risarcimento agli ebrei e non invece qualcosa che appartiene a tutti.
La scrittrice pone delle domande che sono un sasso gettato nello stagno del conformismo e degli stereotipi. Il 27 gennaio si sta trasformando nello spettacolo della memoria, scrive, nella venerazione di un idolo, l’idolo del ricordo, nella ricerca di qualcosa di sempre “nuovo” e colorato da esibire al pubblico che accorre a eventi sempre più numerosi e ridondanti. Col rischio di generare un senso di vuoto, di troppo, di insensatezza, una stucchevolezza che ogni celebrazione porta con sè. E certamente, a Loewenthal va il merito di estremizzare quello che molti di noi, qualche volta, hanno pensato e sentito senza mai osare dirlo.
Ma allora, ha senso ricordare così? ” Non lo so – dice Fiona Diwan nell’editoriale -. Non so nemmeno quale altra strada si possa seguire e se invocare il silenzio e l’oblio, come raccomanda Loewenthal, sia la cosa giusta. Il Giorno della memoria è, in fondo, un progetto educativo, un tributo di civiltà alla sterminata innocenza sacrificata nei campi. C’è modo di immedesimarsi e spartire l’esperienza della Shoah? Ricordare serve a colmare la distanza, a condividere il trauma, il dolore? Credo di no. Tuttavia, guardando film come Il pianista, leggendo i libri di Aaron Appelfeld, quello molto bello di Edith Bruck (Quanta stella c’è in cielo, da cui è tratto il film di Roberto Faenza in copertina del Bollettino), o ascoltando le parole di sopravvissuti come Nedo Fiano o Liliana Segre, l’emozione e l’immedesimazione scattano immediati. Ecco perché credo che, in fondo, non ci possa essere alternativa a un momento pubblico, se non nella ricerca di un tono più meditativo, raccolto e sommesso. E non più così tonitruante e spettacolarizzato”.
Sul testo della Loewenthal si sono espressi in tanti. Sul Corriere della Sera del 20 gennaio Pierluigi Battista lo definisce “Un’analisi impietosa dell’assunto che sta alla base di una iniziativa lodevole e nata con le migliori intenzioni: l’assunto secondo il quale il ricordo pubblico, mentre i sopravvissuti se ne vanno e svanisce fatalmente l’esperienza di una memoria diretta dello sterminio, possa fare da antidoto alla ricaduta nella barbarie”. Mentre Sul Fatto quotidiano dello stesso giorno Furio Colombo, ideatore del Giorno della Memoria, ricorda “Quando, proponendo alla Camera la legge che istituisce il Giorno della Memoria, ho dovuto affrontare la forte spinta di varie parti politiche, ovvero ricordare insieme gli orrori della Storia (Shoah ma anche gulag ma anche foibe) non mi sono illuso di fare accettare l’immensa e tragica unicità dell’evento ma ho proposto un dato di esperienza e di realtà. In quell’aula e in ciascuno dei posti in cui noi deputati sedevamo, le leggi “per la difesa della razza italiana” erano state votate all’unanimità. Ho chiesto ai miei colleghi di riconoscere che la Shoah è un delitto italiano. È solo un simbolo, il Giorno della Memoria. Ma è il voto è stato unanime”.
E voi, che cosa ne pensate?
Gabriele Nissim riflette sul Giorno della Memoria
e “risponde” a Elena Loewenthal
A poche ore dal Giorno della Memoria vorrei dire un grazie al nostro Paese.
Vorrei esprimere questa mia gratitudine prima di tutto come ebreo, ma anche come chi ha sempre ritenuto che la memoria abbia un ruolo importante per l’educazione alla responsabilità nella vita di tutti i giorni.
L’Italia ha molti difetti, ma non c’è un Paese d’Europa dove il giorno della Shoah sia così sentito. Non c’è amministrazione comunale che governi un piccolo paese o una grande città che non organizzi una ricorrenza pubblica per il 27 gennaio; non c’è scuola di ogni grado dove gli insegnanti non propongano la lettura di libri sull’Olocausto e non incoraggino i loro studenti a visitare i campi di sterminio per non dimenticare; non c’è rete radio o televisiva che non organizzi dei programmi speciali legati a questo evento, mentre tutti i giornali riempiono le pagine con una varietà di riflessioni e di articoli.
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