di Emanuele Calò
Se non si può affermare con granitica certezza che l’Italia pulluli di ‘tavoli’ o ‘centri’ per la pace, nondimeno non vale l’opposto: ve ne sono parecchi, soprattutto presso enti pubblici e Università. La loro peculiarità è che spesso, anziché voler avvicinare le parti, si impegnano a descrivere le nefandezze di Israele, mentre diventa un dettaglio, a stregua di una clausola di stile oppure meno ancora, la distinzione fra aggressore e aggredito. Per esempio, quando la buonanima ebbe l’iniziativa di dichiarare guerra agli Stati Uniti d’America l’undici dicembre 1941, quattro giorni dopo l’attacco di Pearl Harbor, dicendosene addirittura sollevato, come se si fosse tolto un brutto peso di dosso, non pensò alle conseguenze: che il destinatario della dichiarazione lo prendesse sul serio e invadesse l’Italia, cosa che fece assieme ai suoi alleati il 9 luglio 1943. L’aggressione, almeno in questo caso, non premiò l’aggressore.
A fronte, dicevamo, del ruolo non sempre lineare dei centri e dei tavoli per la pace, perché non invaghirsi di una parola (rectius: di una frase) d’ordine: non importare in Italia la guerra ma esportare la pace in Medio Oriente. Non è un’idea peregrina, perché senza la simpatia o il consenso dell’Occidente, molte azioni deplorevoli non avrebbero avuto luogo. Non troverei nulla di irreale se noi italiani cercassimo di avvicinare le parti oppure, più semplicemente, i cittadini o comunque le etnie coinvolte, forti del convincimento che le persone civili possono convivere ed essere felici, traendo giovamento del rispetto dei reciproci diritti, della conoscenza delle rispettive culture, così come di tutto quello di buono che comporta il dialogo e il confronto fra culture. In realtà, questi rapporti esistono già: perché non parlarne?
Ora si discorre di riforma della legge sulla cittadinanza. In Germania vi sono delle norme che controllano che gli aspiranti cittadini rispettino gli ebrei e riconoscano i loro diritti. Quale difficoltà potrebbe mai comportare – per dire – una legge italiana che subordinasse la concessione della cittadinanza al rigetto dell’antisemitismo e dell’islamofobia e all’accettazione dell’autodeterminazione in sede statale dei rispettivi popoli? Al mondo vi sono 56 nazioni islamiche e 103 cristiane: è così difficile riconoscere il diritto all’esistenza di uno Stato ebraico, che è più piccolo della Lombardia?
Allora: propongo di mettere insieme qui, in Italia, i simpatizzanti, i cittadini, le etnie e le religioni contrapposte, perché facciano giungere in Medio Oriente il loro desiderio di una pace giusta e ragionevole e di una fine per sempre degli spargimenti di sangue. Non è meglio che invocare la guerra? Certo, è una proposta utopistica per chi odia, ma per chi non nutre odii vi assicuro che è assolutamente realistica.