Hasta la victoria siempre Presidente

Opinioni

Dal blog di Luciano Assin, L’Altra Israele.

Martedì prossimo, 11 giugno 2014,  con le elezioni del prossimo presidente dello stato d’Israele, dovrebbe concludersi la semi farsa che ha accompagnato la politica interna israeliana degli ultimi mesi.  Le attuali elezioni passeranno negli annali della politica locale non solo per il numero record di candidati, ma soprattutto per la spregiudicatezza con la quale Bibi ha cercato di cambiare le regole del gioco incurante di mantenere un minimo di stile politico e disposto a tutto e anche a molto di più pur di affossare il candidato del suo stesso partito.

Cerchiamo di fare un pò d’ordine: fra i sei candidati in lizza per la presidenza tre fanno parte della coalizione governativa, uno dell’opposizione laborista e gli ultimi due provengono dal mondo accadamico: il premio Nobel per la chimica Dan Schechtman e l’ex giudice dell’Alta Corte di Giustizia Dalia Dorner.

A prima vista il candidato sicuro delle attuali elezioni dovrebbe essere Reuven (Rubi) Rivlin, deputato del partito di Nethanyau, ma in questi casi il condizionale è d’obbligo in quanto Rivlin è avversato alla coppia Nethanyau per motivi personali. Le malelingue bene informate aggiungono che Rubi è particolarmente inviso a Sara Nethanyau che in più di un’occasione ha avuto modo d’influire direttamente o indirettamente sulle scelte politiche del consorte.

Al di là delle motivazioni personali le preoccupazioni di Bibi sono le seguenti:  secondo le leggi israeliane il capo dello stato non ha l’obbligo di incaricare la formazione di un nuovo governo al leader del partito col maggiore numero di seggi ma ha la possibilità di affidare il ruolo al leader con le maggiori possibilità di successo. Nelle ultime elezioni Nethanyau ha escluso dal governo i suoi storici alleati dei partiti religiosi ortodossi i quali lo aspettano al varco per fargliela pagare alla prima occasione. Bibi ha dunque la necessità di avere al suo fianco un Presidente fidato su cui contare nel momento della verità.

Bibi le ha provate tutte, ha cercato di promuovere una legge che annullasse l’istituzione presidenziale, si è dato da fare per far slittare la data delle elezioni il più possibile e come ultima risorsa ha proposto la carica a Elie Wiesel, premio Nobel per la pace, incurante che quest’ultimo non fosse in possesso della cittadinanza israeliana. Quest’ultimo tentativo, fallito dopo tre telefonate dirette fra i due, la dice lunga sugli sforzi quasi sovrumani che il primo ministro ha profuso pur di ostacolare il successo di Rivlin.

La tragedia si è trasformata in farsa quando dopo aver capito che ogni sforzo si era rilevato vano Nethanyau ha sorpreso tutti appoggiando la candidatura di chi aveva ostacolato fino all’ultimo. Ma non è detto che il sostegno di Bibi nei confronti di Rivlin non si riveli il classico “abbraccio dell’orso”, e che dietro le quinte sia stato già raggiunto un accordo segreto a favore di un’altro candidato.

Ad eleggere il futuro presidente saranno i 120 deputati della Knesset, il parlamento israeliano, per essere eletti al primo turno bisogna ottenere la maggioranza assoluta di almeno 61 voti, in caso contrario passano al ballottaggio i primi due e nella votazione successiva basta la maggioranza semplice. Fino a stamattina  davo per  scontato che l’elezione venisse decisa nel ballottaggio fra Fuad Ben Eliezer, laborista e Rivlin, likud. Ma è notizia di qualche ora fa che Ben Eliezer si sia ritirato dalla competizione per presunte irregolarità finanziarie, niente di certo ma abbastanza verosimile per comprometterne la candidatura. A questo punto l’alternativa più probabile a Rivlin ma con molte meno probabilità diventa Dalia Itzik,  ex deputato del partito di coalizione Kadima, Itzik è una delle due donne in lizza e questo potrebbe giocare a suo favore. Un altra possibilità più auspicabile ma meno probabile è quella di Dalia Dorner, un candidato al di sopra delle parti e senza scheletri nell’armadio, o almeno così si spera.

Peccato per Fuad che ha abitato a Sasa  verso la fine degli anni ’70, come generale di brigata della zona. E’ chiaro dunque che nutro dei sentimenti di simpatia nei suoi confronti e mi sarebbe piaciuto vederlo chiudere in bellezza la sua carriera politica. Irakeno di origine ha avuto dei rapporti privilegiati con Mubarrak, dotato di un grosso fiuto politico  ha saputo mantenere dei rapporti più che corretti con i partiti religiosi, cosa che in casi del genere certo non sarebbe guastata.

E’ rimasta scolpita nella mitologia del kibbuz la volta nella quale Fuad dovette arrivare in ritardo ad un’importante riunione dello stato maggiore dell’esercito a Tel Aviv poichè il suo autista personale, un soldato di Sasa (l’unico in possesso delle chiavi della macchina) passò la notte con una volontaria in una stanza che non era la sua rivelandosi così irreperibile all’ora della partenza.

Hasta la victoria vecchio Fuad, te lo dobbiamo. Sarà per un’altra volta.