Ho partecipato all’assemblea comunitaria dell’altra sera e vi scrivo qui di seguito le mie impressioni, augurandomi che altri lettori facciano seguire le loro.
Non è finita in un bagno di sangue. L’aula magna era colma e c’erano tutti gli stati maggiori. Ma c’era anche apprensione per gli scontri che avrebbero potuto verificarsi.
L’intervento di apertura di Rav Arbib l’ho sentito come una preghiera propiziatoria, non come le raccomandazioni dell’arbitro prima di un incontro di boxe.
Guido Vitale che dirigeva la riunione ha raccomandato a tutti la brevità, consiglio abbondantemente disatteso. Hanno parlato consiglieri dimissionari, hanno parlato consiglieri rimasti, ha parlato l’ex presidente, ha parlato il presidente in carica.
Volevano spiegare agli iscritti le ragioni di quanto era successo, naturalmente ogni parte secondo il proprio punto di vista. Ma la cronologia degli avvenimenti, l’orario della telefonata o il giorno della settimana esposti da A o da B appagavano la coscienza e servivano da giustificativo per chi si era sentito tirato in causa, si voleva dire a B o ad A che “non era vero, non era stato così”. Ma a noi? Parlavano a noi? Forse gli addetti ai lavori sapevano le origini del dissenso, ma in uno degli interventi qualcuno ha ricordato giustamente che il Consiglio della Comunità gestisce il nostro denaro e quindi anche noi dovevamo essere edotti di come ciò avveniva.
I due punti che hanno maggiormente attirato l’attenzione e che hanno occupato più spazio nella discussione e nelle argomentazioni sono stati rispettivamente il progetto Kesher e l’avvicendamento alla carica di Rabbino Capo. Sono stati portati argomenti convincenti a favore delluna o dellaltra tesi. Questioni di soldi, questioni ideologiche?
Era un dibattito, non era un’assemblea. Moltissimi sono intervenuti per chiedere e per puntualizzare. Fra le impressioni colte alla fine, è sembrata emergere da una parte l’estraneità alle polemiche interne, dall’altra la comprensione per l’amarezza di coloro che si sono sentiti feriti dal comportamento di altri. Le parole polemiche e aggressive sia scritte sia orali – quella di ieri è stata la prosecuzione/commento del Bollettino – dimostrano come nel bene e nel male sia sempre l’uomo (l’essere umano) a voler emergere con la sua voglia di fettina di potere: il tutto da conciliare in buona fede con l’interesse per il bene della comunità. Siamo tutti esseri umani, impastati di bene e di male, come ha detto il rabbino, puntualizzazione quanto mai opportuna, sì che per chi non è addentro in questa vicenda riesce difficile prendere le parti di uno o dell’altro.