di Angelo Pezzana
[La domanda scomoda] Nel 2017 Steven Spielberg avrebbe dovuto iniziare in Italia le riprese di un film tratto dal libro di David Kertzer Il rapimento di Edgardo Mortara. L’uso del condizionale è d’obbligo, perché il film non venne più realizzato. Il motivo? Malgrado i molti provini, non venne trovato un bambino in grado di interpretare Edgardo, 7 anni, ebreo, che viveva con la famiglia a Bologna. Così dichiarò la produzione… Edgardo venne sottratto con la forza alla famiglia, il rapimento avvenne su ordine della Inquisizione bolognese, era il 1858, Bologna apparteneva ancora allo Stato pontificio. Fu una cameriera a battezzarlo, era la legge che lo consentiva, se un bambino ebreo si ammala o si trova in pericolo di vita, è dovere di un buon cristiano salvargli l’anima. Edgardo non era per nulla in fin di vita, ma il battesimo forzato era avvenuto, la cameriera, in cerca di benemerenze, aveva prontamente avvisato l’Inquisizione. Inutili le battaglie della famiglia Mortara, il caso ebbe una diffusa notorietà in molti paesi, soprattutto in Gran Bretagna. Ma abbandoniamo la vicenda di Edgardo, cresciuto nella nuova fede impostagli, diventato anche prete su posizioni rigorosamente ortodosse.
Cerchiamo invece di capire il perché dell’abbandono del film da parte di Spielberg. La vicenda gli era nota, si potrebbe dire che il soggetto rientrava appieno nella serie dei vari film a trama ebraica, come i capolavori Schindler’s List e Munich, nei quali il regista ha raccontato due avvenimenti fondamentali della storia del popolo ebraico, la Shoah il primo, la strage degli atleti nelle olimpiadi di Monaco il secondo, successi internazionali, apprezzati da ogni genere di pubblico. In Schindler’s List, la realtà di Auschwitz viene descritta nei particolari, ma gli spettatori hanno dell’imprenditore tedesco una immagine positiva, a differenza di quasi tutti i film sui campi di sterminio nazisti, dove i nazisti sono i “cattivi” senza eccezioni. In più è una storia vera, nelle immagini finali lo testimonia l’incontro dei salvati da Schindler nel cimitero di Gerusalemme dove lui è sepolto. Un caso simile, Munich, dove, su ordine di Golda Meir, l’eliminazione dei terroristi responsabili della strage viene raccontata narrando anche gli aspetti meno edificanti degli agenti israeliani, i loro dubbi sulla liceità delle esecuzioni, ad esempio il poeta palestinese che vive a Roma si viene a sapere che era estraneo alla strage. Insomma, anche per Munich lo spettatore giudica il film sincero perché non nasconde gli errori commessi dagli israeliani.
E se Spielberg, dopo una più approfondita lettura del libro di Kertzer, si fosse reso conto che gli sarebbe stato impossibile trovare degli aspetti anche solo parzialmente positivi nel comportamento del Vaticano? Le recensioni non sarebbero state tutte elogiative, anzi, avrebbero compromesso il successo a livello internazionale. Business First, quindi, che le cose siano andate così lo dimostra l’immediato acquisto dei diritti da parte di Spielberg di un romanzo la cui trama riflette appieno le tendenze del giustamente famosissimo regista: Apeirogon, questo è il titolo,che sta godendo ottima stampa anche in Italia – pur non essendo ancora tradotto – con titoli sui giornali del genere “La tragedia di due padri, Israele e Palestina uniti nello stesso dolore”. Ovvero un giovane terrorista palestinese viene ucciso dopo aver ammazzato dei civili israeliani, una ragazza israeliana viene uccisa in un attentato terroristico. Ma si possono equiparare le due vittime? L’autore del romanzo, Colum McCann, pensa di sì. E lo pensa anche Steven Spielberg, da intelligente regista qual è, ci insegnerà che il dolore può unire, nel ricordo, vittima e carnefice?