di Augusto Sartorelli *
È trascorso ormai quasi un quarto di secolo da quando è stato istituito il Giorno della Memoria. La giornata avrebbe dovuto facilitare una presa di coscienza collettiva del fatto che l’uomo è stato capace di tanto orrore. Le parole di Primo Levi “meditate che questo è stato” potrebbero sintetizzare il senso e lo scopo di questa giornata.
Eppure, a me sembra che la giornata abbia finito per concentrarsi più su ciò “che è stato” che non sulla meditazione delle cause. Per lo più nell’arco di un solo giorno vengono concentrate manifestazioni, documentari, conferenze, mostre fotografiche che narrano e illustrano, spesso nei più crudi dettagli, la tragedia della deportazione e dello sterminio. Ogni anno questi tragici eventi vengono riproposti come eventi straordinari, come se l’antisemitismo nazifascista fosse sorto all’improvviso, come un fungo velenoso, nella notte del “secolo breve”, senza un “prima” che lo ha preparato e lo ha reso possibile.
La Shoah sta diventando un rito: la ritualità celebrativa, unita al trascorrere del tempo, alla scomparsa degli ultimi testimoni e all’avvicendarsi delle nuove generazioni, svuota l’evento e lo rende progressivamente incomprensibile. La Shoah è diventato un evento marmorizzato, un monumento che come tutti i monumenti divenuti parte del paesaggio, attira sempre meno l’attenzione dei passanti. Prevale l’idea che il monumento sia stato eretto per solidarietà agli ebrei, per ricordare quello che “è loro capitato” senza chiedersi perché sia capitato e perché soprattutto a loro.
La follia criminale nazifascista appare come una spiegazione sufficiente a soddisfare ogni esigenza di verità storica. Il Giorno della Memoria, come ha scritto Elena Loewenthal, “non dovrebbe essere l’occasione per un postumo e ovviamente simbolico risarcimento. Non è e non dovrebbe essere nulla di tutto questo. Il Giorno della Memoria riguarda tutti, fuorché gli ebrei che in questa storia hanno messo i morti”.
La memoria non è di ciò che hanno subito gli ebrei, che lo sanno benissimo, ma di quello che nell’intera storia dell’Europa cristiana è stato detto e fatto agli ebrei e di cui la Shoah rappresenta il più tragico punto d’arrivo. La continua riproposizione degli orrori della Shoah, nel migliore dei casi, agita la superficie delle coscienze ma non investe le fondamenta di una visione antisemita del mondo radicata in una bimillenaria predicazione del disprezzo.
* Augusto Sartorelli ha collaborato per circa trent’anni con il CDEC occupandosi dell’antisemitismo di matrice religiosa. Ha scritto alcuni saggi sulla R.M.I. e nel 2019 ha pubblicato “Testimoni della nostra iniquità. La Chiesa e gli ebrei”.