Riprendiamo da israele.net un interessante articolo tradotto da Ynetnews.
Il prossimo mese ricorrerà in Siria il quinto anniversario della feroce guerra civile. Aboud Dandachi è uno dei milioni di siriani la cui vita è stata completamente stravolta dal sanguinoso conflitto.Parlando da Istanbul, il 39enne professionista nell’high-tech ha raccontato a YnetNews la sua esperienza durante la crisi siriana e ha spiegato l’importante lezione che bisogna trarne circa il paese che quelli come lui sono sempre stati indottrinati a odiare e temere.
Dandachi, musulmano sunnita, dice che la sua posizione era neutrale quando ebbero inizio, nel marzo del 2011, le grandi manifestazioni popolari contro il regime di Assad. “Non sostenevo nessuno – ricorda – perché la mia vita andava bene. Non avevo bisogno del governo e volevo solo che mi lasciassero stare”. Ma la svolta venne quando le forze del governo, una notte, uccisero cento manifestanti pacifici.
Sulle prime si aspettava che la guerra civile finisse abbastanza in fretta. Ma nel settembre del 2013, dopo che Assad aveva iniziato a utilizzare armi chimiche e lo “Stato Islamico” (ISIS) aveva conquistato la città di Raqqa, capì che doveva andarsene. Dopo un soggiorno di due settimane in Libano, Dandachi si rese conto d’essere solo passato da una zona di conflitto a un’altra zona di conflitto, e allora si trasferì in Turchia, dove è riuscito a sistemarsi in un appartamento in affitto.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu in visita ai feriti siriani nell’ospedale da campo israeliano sulle alture del Golan
Dice Dandachi d’aver tratto una conclusione molto chiara, dagli ultimi cinque anni, è cioè che in realtà Israele non è affatto il “grande Satana” che gli era sempre stato descritto, ma anzi il contrario. “Israele sta facendo esattamente quello che deve fare – spiega – Non prende parte alla guerra, ma aiuta i siriani feriti che hanno bisogno di aiuto. E non è solo il governo a farlo. Vi sono volontari israeliani che aiutano i profughi siriani in Giordania, in Grecia, in Serbia, in nord America. Nessuno avrebbe potuto criticare gli ebrei e gli israeliani se avessero detto che questo dramma non era affar loro. Il che, per inciso, è proprio ciò che hanno detto molti arabi e paesi arabi. Gli stati del Golfo, per esempio, chiudono le porte davanti ai profughi siriani, e questi sarebbero i paesi che si definiscono amici e fratelli della Siria”.
Dandachi ricorda la sua formazione ed educazione scolastica. “Sono cresciuto in mezzo a proclami del tipo: ‘gli ebrei sono malvagi, sono i nostri nemici’. E poi ho visto quegli ebrei comportarsi come le persone più umane e generose di questa epoca. Quando vedo che gli Hezbollah e gli iraniani vengono per uccidermi e sono costretto da altri siriani a scappare da casa mia, e poi sento che gli israeliani e gli ebrei si adoperano per aiutare profughi e feriti siriani, la mia visione del mondo cambia completamente”.
Per questo, dice, “un giorno, quando la guerra sarà finita, e non c’è dubbio che prima o poi dovrà finire, non voglio che i siriani siano coinvolti in conflitti inutili: non c’è alcun motivo perché i siriani debbano essere in guerra con gli israeliani. Che dissensi vi sarebbero mai, fra le due parti, tali da giustificare un conflitto? Le alture del Golan, ad esempio, sono un problema facilissimo da risolvere, certamente più facile rispetto ad altre questioni ben più complicate che travagliano la nostra regione. Perché mai siamo nemici degli ebrei? – si domanda Dandachi – In un momento in cui Donald Trump ci calunnia, la Danimarca e la Svizzera confiscano gli averi dei profughi siriani, quando tutti questi paesi sono contro di noi, vi sono ebrei e israeliani che mettono persino in pericolo la loro vita per aiutarci. E allora, perché dovrei essere nemico degli ebrei? Hanno dimostrato che desiderano essere miei amici. Ci hanno teso la mano, perché dovrei mettermi contro di loro?”.
Tali Shaltiel, dottoressa israeliana volontaria di IsraAid, porta a riva una piccola profuga siriana approdata con un gommone su una spiaggia dell’isola greca di Lesbo
Lo scorso dicembre Dandachi ha lanciato un sito chiamato Thank You Am Israel (Grazie, popolo d’Israele) che racconta storie di ebrei e israeliani che hanno aiutato e stanno aiutando il popolo siriano. “Ci sono così tante storie che vorrei mettere on-line – dice – Ogni giorno ci sono nuove storie di israeliani che aiutano siriani. Dal mio punto di vista, siccome noi come siriani non possiamo restituire agli ebrei quello che loro ci stanno dando, dobbiamo almeno ringraziarli. Mi ricordo d’averne parlato per la prima volta nel 2014, quando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu andò a visitare i feriti siriani nell’ospedale da campo appositamente allestito sulle alture del Golan, e venne fotografato. E ricordo che l’opposizione siriana disse, all’epoca, che Netanyahu avrebbe dovuto smetterla di usare i feriti siriani a scopo di propaganda e altre sciocchezze del genere. In quell’occasione dissi all’opposizione: Ma siete pazzi? Non sapete nemmeno dire grazie? Siete così puerili!”
Dandachi dice d’aver scritto questo messaggio sul suo blog, “dopodiché l’opposizione siriana si affrettò a cancellare il proprio messaggio sull’argomento dal loro sito. Purtroppo la realtà del Medio Oriente è che non c’è un solo politico arabo disposto a dire ‘grazie’ a Israele. Questa è la realtà del Medio Oriente: dicendolo, perderebbe sostegno e popolarità”.
Dandachi è in contatto con i suoi fratelli, che si trovano nel Golfo e in Turchia, e non ha più legami con la Siria. “Nessuno della mia famiglia è rimasto laggiù – dice – Di tutti quelli a me vicini, io sono l’ultimo ad aver lasciato il paese. Quando me ne sono andato, nel settembre 2013, sapevo che non sarei mai più tornato in Siria”.