di Vittorio Robiati Brendaud
Il giorno della Memoria attiva energie morali e intellettuali per conoscere e per cercare di comprendere – se possibile – l’accaduto. Le nostre costituzioni occidentali e la tutela dei diritti umani individuali riposano ampiamente sul “no” secco alle forze culturali e sociali che permisero la Shoah. Politica, religione, cultura e società sono impegnate in un positivo trattamento antivirale per fugare degenerazioni, ahimè sempre alla porta.
Tuttavia che il Giorno della Memoria sia incagliato in secche è sotto gli occhi di tutti. Vari politici presenziano a infinite liturgie con aria contrita per poi manifestare gelido distacco circa Israele (in cui oggi vive più della metà degli ebrei del mondo). Moralisti dall’aria censoria infliggono prediche laiche postume. Alcuni religiosi melliflui insistono sui Giusti tra i cristiani, riducendo il nazismo a ideologia neopagana, smussando secoli di antigiudaismo che dimorano sullo sfondo e persino sul primo piano della Shoah (anche se vi è uno scarto tra antiebraismo cristiano e Shoah). Intellettuali politically correct, pur formalmente salvando l’unicità della Shoah, fanno voli pindarici per avallare un’inapplicabile ermeneutica dell’orrore ai successivi disastri umani.
Estrema destra ed estrema sinistra, assieme ai negazionisti e ai complottisti, distorcono il reale equiparando sionismo e nazismo, Stato di Israele e regimi persecutori. E così si cade nella falsa “teoria” per cui le vittime di ieri sarebbero i carnefici di oggi.
Vi sono poi le comunità ebraiche, vittime di dolori e shock insanabili e transgenerazionali, sospese tra il dovere di ricordare e far ricordare e l’imbarazzo a dover gestire i problemi ora evocati. Non è un caso che negli ultimi anni abbondino riflessioni sul senso della memoria e su come valorizzare il ricordo; ed è bene che ci siano, perché la sfida è aperta e fondamentale, estranea a musealizzazioni e a liturgie.
Andrebbe meglio ricordato che la Shoah accadde anche in Italia, con una storia precisa. È erroneo e insidioso confinarla in Germania, tentando di esorcizzare il male. Vi fu il campo di concentramento e transito di Fossoli, il crudele campo di Bolzano, il forno crematorio della Risiera di San Sabba a Trieste, il campo di concentramento e lavoro di Giado in Libia. Vi fu la legislazione razzista. Furono annientate alcune comunità ebraiche dell’Egeo, all’epoca sotto la corona d’Italia. Il 27 gennaio occorrerebbe forse recarsi a San Sabba piuttosto che nei palazzi governativi, pur rappresentativi della Nazione.
Secondariamente, la Shoah rifiuta le universalizzazioni, processo tipico del pensiero occidentale. Scriveva il pensatore Emil Fackenheim (1916-2003): «Collegare Auschwitz a Hiroshima – o ad altre tragedie umane successive – non significa approfondire o ampliare la propria apprensione per l’umanità e il suo futuro». Significa evadere l’enormità di Auschwitz e quella di Hiroshima, del Rwanda o della persecuzione dei cristiani iracheni. Se si cede all’universalizzazione, la Shoah si riduce a simbolo – con usi e abusi –, come tale disincarnata e non riguardante la storia concreta di un popolo specifico, a contatto con altri popoli e culture. La Shoah sfugge al pensiero. Non fu il lato negativo di un fanatismo. Fu un fine in sé. Gli ebrei ebbero come principale crimine la nascita; l’esistere fu il crimine ebraico.
L’ebraismo, poi, non coincide con la Shoah. Per non offrire a Mussolini, a Hitler, al muftì (e i legami tra nazismo e jihadismo sono molti e rilevanti, anche se poco esplorati dalla storiografia benché oggetto di recenti studi in Usa, Europa e Israele) e ai loro sostenitori ed epigoni vittorie postume, gli italiani dovrebbero riappropriarsi della storia viva dell’Italia ebraica, il cui contributo alla Patria è stato inesausto per ventidue secoli, dalla Bibbia a Modigliani, da Isacco Artom ai fratelli Rosselli, da Rita Levi Montalcini a Cesare Segre e Arnoldo Foà, per citare nomi illustri.
In tale storia figurano anche i quindicimila nostri connazionali ebrei oggi viventi in Israele.
Infine, è profanante il Giorno della Memoria che il 27 gennaio si pianga e che il 25 aprile si insulti la Brigata Ebraica. Tra gli antifascisti ebrei più agguerriti vi erano proprio i sionisti italiani, e su questo molto dovrebbero riflettere cultura e politica.