di Claudio Vercelli
No, non si tratta di un vecchio repertorio. Magari da avanspettacolo della politica. Ossia da backstage, al pari di una sorta di retrobottega, dove si affannano figuranti di ciò che fu e, adesso, finge di non essere più. Veniamo quindi al dunque. Le affermazioni della seconda carica dello Stato, il presidente del Senato della Repubblica Ignazio La Russa, in merito alle dinamiche e ai percorsi che portarono al massacro delle Fosse Ardeatine, a Roma, non sono più materia per gli storici. I quali, beninteso, da tempo – invero molto – hanno già appurato ciò che successe. Tra i tanti, basti citare Alessandro Portelli, che su quanto avvenne ha lavorato una vita intera, la sua.
Inutile quindi rispondere con le (dure) repliche della storia. Ancora meno della storiografia. Poiché queste ultime nulla dicono a coloro che, invece, hanno da esercitare una rivalsa. Sui fatti, le persone, gli eventi medesimi. Poche parole di corredo, quindi.
Non esistono equidistanze. Chi si richiama ad una improvvida “par condicio” (criminali gli uni, i neri, ma anche gli altri, i rossi: quindi, pari e patta; quindi, torniamo pertanto alla casella di inizio), lo fa poiché deve coprire le nefandezze della sua parte. Che in Europa sono quelle del fascismo. Non solo italiano. Non esclusivamente quello apocalittico della Repubblica sociale italiana. Il “comunismo”, in questo caso, c’entra come i cavoli a merenda.
Posto che il retro-pensiero di qualsiasi mediocre revisionista da salotto buono della Repubblica si disinteressa dei morti reali, delle tragedie trascorse, della sofferenza causata. Così come dei vivi del presente. Semmai, è interessato ad avvalorare la propria parte, quella che “non muore mai” perché mai è stato capace di vivere fino in fondo l’esistenza plurale, quella che sa pensare e accettare la diversità come valore e non come minaccia. A chiosa di ciò, sia ben chiaro che il rimando allo “Stato d’Israele”, se viene evocato come una sorta di contropartita, poco o nulla c’entra. Almeno in questo caso, dove era in gioco l’esistenza di antifascisti ed ebrei quasi tutti italiani. Allora, per capirci. Gerusalemme sarebbe arrivata anni dopo. Con tutto il resto.
Detto questo, nella girandola di dichiarazioni, precisazioni, incisi, circonlocuzioni, interessate richieste di “perdono” e cos’altro, non c’è nulla di cui sorprendersi. In quanto si tratta della strategia dello slittamento del dominio del senso comune. Verso un ambito post-costituzionale e intimamente neofascistico. Non è una questione storiografica e neanche, a stretto giro, “revisionista”. Si tratta – semmai – di spostare, passo dopo passo, il giudizio dell’opinione pubblica su una direttrice che è quella del vecchio Msi anni Ottanta. Quello di Almirante ultima maniera. Di mezzo, in questo caso, non c’è Mussolini. Piuttosto, la memoria della Repubblica sociale italiana. Un ambito – quest’ultimo – dal quale alcuni degli attuali esponenti della maggioranza provengono o di cui sono, in qualche misura, nostalgici debitori.
Non c’è nessun dibattito in corso (quale, poi?) su via Rasella ma solo l’occupazione dell’immaginario collettivo con certe posticce raffigurazioni di maniera, sospese tra nostalgia, rimpianti e – soprattutto – desiderio di rivalsa. La Russa, in fondo, fa il “suo mestiere”. Che in questo caso non è quello di seconda carica dello Stato. Si tratta di un film già visto e che si ripeterà con ossessionante cadenza. Poco ma certo.
Dopo di che, se il «Bozen» era fatto di “musicisti” pensionabili noi non andremo mai in pensione: il tempo trascorre, tante cose – un tempo importanti – ora sembrano lontane ma le passioni e l’etica intima, quella che ci interpella su chi siamo e cosa facciamo in rapporto agli altri, non vanno mai nel ripostiglio. Sappiamo benissimo chi e cosa i carnefici sono stati; peraltro non ci siamo mai illusi, guardando ai tempi a noi più prossimi. Oggi si ha a che fare con i figli e i nipoti di coloro che odiavano e perseguitavano non solo i “diversi” (in che cosa?) ma anche, e soprattutto, i non omologabili. Per le più svariate ragioni poiché quei certuni, che per nulla sono mutati nel loro intimo, sono esattamente ciò che noi, italiani democratici, invece non saremo mai. Abbiano quindi il coraggio e la determinazione di non nascondersi dietro simulacri o finzioni.
Per ognuno di noi, tra i diversi rimandi possibili, rimane – come esempio insindacabile – il sacrificio di un Emanuele Artom. Tra i tanti. Le distanze non saranno mai colmabili. Non esiste pacificazione e, ancora meno, parificazione. Si riparte quindi da questo riscontro, non da altro.