di Claudio Vercelli
Il tema delle “parole malate” trattato nel numero di settembre del Bollettino è per uno storico un tema molto spinoso, che merita profonda riflessione.
L’uso di un termine in chiave distorta raramente è dovuto all’ignoranza, ma molto più frequentemente all’ideologia di fazione: e così, il significato originario del termine viene volutamente cancellato e sostituito da uno nuovo e contrapposto. La “parola malata” soddisfa non una domanda di conoscenza, ma di adesione a un’ideologia, che rafforza la potenza delle proprie idee. Un esempio chiaro di questo fenomeno è l’equiparazione del sionismo al nazismo, che palesemente è il prodotto di un lungo lavoro di riscrittura della storia. Il sionismo diventa così la ripetizione del “male assoluto” mentre “le vittime di ieri sono i carnefici di oggi”.
La società dell’informazione in tempo reale, poi, crea e diffonde un senso di immediatezza, come se tutto potesse essere effettivamente conosciuto sul momento, in una sorta di tempo presente che diventa eterno. Interrogarsi sul fare storia (ricostruire i fatti) diventa cosa non facile poiché ci si trova sempre più spesso schiacciati su questa domanda di “contemporaneità” che troppo spesso è una richiesta, a volte anche molto arrogante, di formulare giudizi a prescindere dalla conoscenza degli eventi storici. Come se si volesse dire: “le mie tesi sono incontrovertibili per il fatto stesso che le esprima io stesso”! Il caso dei Social Network, su cui si sviluppano linguaggi sentenziosi e litigiosi, sta lì a dimostrarlo.
Siamo, insomma, in presenza di un linguaggio sordo e ripiegato su di sé, che non vuole parlare né tanto meno comunicare qualcosa, ma solo affermare una identità potente e insindacabile. È linguaggio malato quello che parla a se stesso e, quindi, ai membri del proprio gruppo, per escludere quanti invece non vi appartengono. E come tale, segna il passaggio dall’età del giudizio – che presuppone un tempo di maturazione e di rettifiche alle ipotesi iniziali, insieme all’umiltà della ricerca e al confronto permanente con gli interlocutori – a quella del pregiudizio, che altro non è che una forma di falsa conoscenza, che alla riflessione sostituisce l’urlo di chi ritiene di avere in tasca la “verità”. Un bel passo indietro, non c’è che dire.
Claudio Vercelli è tra i più importanti storici contemporanei, autore di diversi studi sulla Shoah. È ricercatore di Storia contemporanea all’Istituto di studi storici «Salvemini» di Torino. Studioso del ‘900, ha scritto “Il negazionismo. Storia di una menzogna” (Roma-Bari 2013). Terrà a Milano, per Kesher, aperto a tutti, un corso sulla Storia del Sionismo e dello Stato d’Israele.