Lettera aperta a Papa Francesco: il ‘caso Mortara’ e il Silenzio della Chiesa Cattolica

Opinioni

di Daniele Scalise
Egregio papa Francesco, è trascorso più di un secolo e mezzo dalla sciagurata estate bolognese del 1858. Era il 24 giugno quando un bimbo di sei anni, Edgardo Mortara, venne strappato dalle braccia di sua madre e di suo padre, trascinato in una carrozza delle guardie papali e deportato a Roma. Sua unica colpa quella di essere ebreo e di essere stato, ancora in fasce e abusivamente, sottoposto a un rapido, e per altro lacunoso, rito battesimale per mano di una domestica cristiana che lo credeva moribondo.

Tale fu almeno il resoconto opaco e vacillante che la ragazza ne fece anni dopo traendone qualche beneficio economico e il ripristino di una virtù compromessa. La Chiesa cattolica, allora sovrana assoluta su quei territori, sostenne di non poter consentire che Edgardo crescesse in un ambiente infedele e il Suo predecessore Pio IX, sordo alle proteste e alle suppliche del mondo civile, volle che fosse consegnato a lui in persona per poi allevarlo secondo regole cristiane. Dell’angoscia di quella creatura, dello strazio dei genitori e della famiglia, delle preoccupazioni delle comunità ebraiche e anche di tanti cattolici e laici, il pontefice non volle tenere conto lasciando che prevalesse un principio barbaro, forse nella tardiva e vana illusione di rinvigorire il proprio potere agonizzante. Dopo 165 anni, la vicenda che travolse quelle creatura continua a essere assediata dal silenzio della Chiesa cattolica e delle sue massime autorità, un tacere tanto assordante da far ritenere autorizzate voci minori e sconsiderate a rivendicare come legittimo quel gesto delittuoso giustificandolo mostruosamente quale imperscrutabile segno divino di salvezza.

Presi a occuparmi del ‘caso Mortara’ una trentina d’anni fa cercando di ricostruire il mosaico di tormenti, attese e speranze, di brucianti delusioni e alte proteste in un’Italia sul punto di diventare nazione e uno Stato pontificio destinato a disfarsi. Vi sono tornato di recente con un romanzo per raccontare lo strazio più intimo di una creatura che divenne giovane, crebbe uomo e alla fine si consegnò a un’amarissima vecchiaia eternamente perseguitato da quel grave passato di cui era stato obbligato protagonista. Un essere mai libero e mai incolume, assillato dai fantasmi e avvilito dal dolore di una piaga infantile mai cicatrizzata.

Ero persuaso che oggi, dopo la sortita del solenne ed eloquente racconto cinematografico firmato dal regista Marco Bellocchio – un’opera che ha, oltre a immani meriti artistici, quello di aver illuminato una vicenda sconosciuta ai più – immaginavo, dicevo, che le autorità religiose della Chiesa cattolica apostolica romana si riconoscessero la forza e insieme sentissero l’urgenza di pronunciare parole non di generico pentimento (nemmeno ciò è successo) ma di alta e convinta riflessione sul destino delle nostre anime e sulla loro protezione. Ho così preso contatto con stimati presuli chiedendo loro di riflettere ad alta voce su una vicenda che riguarda ogni essere umano e i suoi inalienabili diritti ma ne ho ricavato solo risposte imbarazzate, reazioni contrariate, repliche evasive: Cosa va a rimestare, caro signore? Perché sollevare di nuovo tanta polvere? Ma non vede che vi sono problemi ben più imperiosi come una guerra dietro l’uscio di casa, il generale sfascio morale, il caldo che ci soffoca come una colpa…

L’antico, fiero e spietato non possumus nutre così un’amara delusione nei confronti di un’autorità morale che pure ha camminato su sentieri impervi ma che oggi si è consegnata a un’afasia incomprensibile. Non ho né i titoli né la volontà di impartire lezioni etiche, preso come sono nella ricerca affannosa di chi quelle lezioni me le possa semmai offrire ma sono sempre più convinto che se la parola può sanare, la sua latitanza rischia di renderci perfino più malati. Credenti e non credenti. Ebrei e cristiani. Vivi e morti.

Auspico che Lei, papa Francesco, possa finalmente condividere con il mondo tutto e con noi che vi abitiamo spesso confusi e arrabbiati, un pensiero su un delitto che fu commesso contro un essere umano inerme, contro la sua famiglia e contro l’umanità intera.

In attesa fiduciosa,

Daniele Scalise