di Rav Alfonso Arbib
Nella settimana di Chanukkà si leggono le parashòt che raccontano la storia di Yosèf. È un caso o c’è un rapporto fra queste parashòt e Chanukkà?
Secondo i nostri Maestri il rapporto c’è. Vediamo di capire di che cosa si tratta.
Uno dei momenti più importanti di questa storia è l’interpretazione da parte di Yosèf del sogno del Faraone. L’interpretazione del sogno è la seguente: si tratta di un sogno profetico che prevede per l’Egitto sette anni di abbondanza e sette anni di carestia e gli anni di carestia “divoreranno” gli anni di abbondanza facendoli dimenticare. È una profezia terribile, la prospettiva è una tragedia nazionale, è la fame, è la morte di migliaia di persone.
Yosèf però non si limita a interpretare i sogni, suggerisce al Faraone una soluzione, un programma economico per cui gli anni di abbondanza alimenteranno gli anni di carestia. Yosèf sta dicendo al Faraone che deve impegnarsi, deve darsi la sveglia e agire. Questo potrebbe essere un primo punto di contatto con Chanuk-kà. Yosèf non considera la profezia ineluttabile ma cerca di trovare una soluzione, cerca paradossalmente di non farla realizzare.
Anche nella storia di Chanukkà ci troviamo davanti a qualcosa di apparentemente ineluttabile, un processo di assimilazione del popolo ebraico alla cultura greca, cosa che rientra nel processo più ampio di ellenizzazione dell’Oriente da parte di Alessandro Magno e dei suoi successori.
A questo vasto programma culturale ci sono reazioni diverse all’interno del popolo d’Israel. C’è chi vi aderisce entusiasticamente ma c’è soprattutto un gran numero di ebrei che considera il processo di assimilazione ineluttabile e semplicemente vi si adegua. C’è però una piccola minoranza che decide di ribellarsi, che crede che non ci sia nulla di ineluttabile, che sia necessario far di tutto per difendere la propria identità anche quando ciò sembra impossibile.
Il messaggio di Yosèf e dei Chashmonaim è lo stesso. Non si subiscono passivamente i processi storici. La storia non è scritta, può cambiare e la storia del popolo ebraico lo testimonia.
C’è un secondo elemento che potrebbe collegare le due vicende. Un midràsh racconta che quando il Faraone decide di nominare Yosèf viceré d’Egitto, si scontra con le obiezioni dei ministri e dei maghi egizi lì presenti. Questi sostengono che se Yosèf deve essere re, deve conoscere 70 lingue. Yosèf non le conosce. Dio però manda un angelo per insegnargli le 70 lingue. Ma Yosèf non le impara. A questo punto l’angelo aggiunge al nome di Yosèf una lettera del nome di Dio, la Hei e Yosèf impara le 70 lingue e diventa viceré d’Egitto. Che senso ha questo midràsh?
I maghi e i ministri egizi sostengono che se si vuole governare una nazione bisogna conoscerne “la lingua”, cioè essere parte integrante della cultura e della civiltà di chi si governa. Yosèf però, pur capendo che ciò è indispensabile, ha paura di entrare così profondamente nella cultura egizia, ha paura di perdere la propria identità in mezzo a quella grande cultura e quindi non impara le lingue.
A questo punto l’angelo aggiunge una lettera al suo nome e Yosèf impara le lingue. Che senso ha l’aggiunta della lettera? Innanzitutto si tratta di una lettera del nome di Dio, nel nome di Yosèf sono presenti, con l’aggiunta della lettera hei, tre lettere su quattro del nome di Dio.
Il messaggio potrebbe essere che per poterci addentrare in un’altra cultura dobbiamo innanzitutto rafforzare la nostra. Ma forse c’è qualcosa di più.
La lettera aggiunta è la hei ed è la lettera con cui, secondo un altro midràsh, Dio crea il mondo. È come se a Yosèf fosse data la possibilità di leggere il mondo e la sua cultura attraverso quella lettera.
Credo che in questo midràsh siano presenti alcuni elementi essenziali che riguardano il nostro rapporto con culture diverse da quella ebraica.
Il primo elemento è la presa di coscienza del problema che si esprime nella paura di Yosèf. Ogni volta che si parla di paura scatta una specie di riflesso condizionato e ci viene subito detto che la paura è negativa, che è da vigliacchi, che è segno di debolezza. La paura è sicuramente negativa quando è paralizzante ma è essenziale quando indica la presa di coscienza del pericolo. Il pericolo esiste ed è il pericolo dell’assimilazione, della perdita d’identità, della perdita di se stessi.
L’altro elemento presente in questo midràsh è che il rapporto con culture diverse e con il mondo circostante è inevitabile e per certi versi positivo. Per poterlo però affrontare senza perdere la propria identità è necessario essere capaci di guardare il mondo attraverso occhiali particolari, attraverso la lettera con cui Dio ha creato il mondo, attraverso il progetto della creazione che secondo i Chakhamìm è la Torà.