di Luciano Assin*
Sono passati più di 8 mesi dal pogrom del 7 ottobre ed è possibile tentare di analizzare gli svolgimenti del conflitto con quel minimo di distacco dovuto per non cadere nel trabocchetto dei luoghi comuni e della retorica che accompagna simili momenti di crisi. Eccovi il mio decalogo.
1- La guerra in corso è totalmente diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta. A parte la guerra d’Indipendenza del 48 Israele non ha mai dovuto affrontare un conflitto così lungo. La dottrina israeliana è sempre stata quella di assumere l’iniziativa, combattere fuori dai propri confini e risolvere la guerra in tempi brevi per non bloccare l’economia e tradurre i risultati conseguiti sul campo in un risultato politico migliore di quello antecedente il conflitto. Una guerra così lunga e della quale non si vede ancora la fine sta portando inevitabilmente il paese ad un sempre maggior isolamento internazionale con gravi ripercussioni sulla sua economia.
2 – Netanyahu ha fatto il suo tempo. L’attuale premier guida un governo di estrema destra che nei fatti si è già rivelato come il più fallimentare nella storia del paese. Bibi ha troppi paletti all’interno della sua coalizione per poter prendere decisioni coraggiose che salvaguardino l’interesse del paese. Per cercare di prolungare i processi in cui è coinvolto che potrebbero portarlo ad un verdetto di colpevolezza il premier israeliano è stato obbligato ad includere dei partiti legati ad una visione messianica dell’ebraismo che mina dall’interno la democrazia israeliana e di conseguenza la sua stabilità e sopravvivenza.
3 – La liberazione degli ostaggi passerà inevitabilmente attraverso un doloroso compromesso. Il blitz delle forze armate di Sabato ha risollevato il morale nazionale e ha dimostrato una volta di più le potenzialità dell’esercito. Ma si tratta pur sempre di un risultato limitato che ha richiesto un enorme dispiego di forze ed un lavoro di Intelligence durato diverse settimane. Uno dei motivi del successo dell’operazione è il fatto che gli ostaggi si trovassero in superficie e non nei bunker sotterranei di Hamas. In tal caso il numero delle vite sia fra i militari sia fra gli ostaggi sarebbe stato decisamente molto più alto. L’inevitabile conclusione di questo ragionamento è che la liberazione degli ostaggi dovrà obbligatoriamente passare attraverso degli accordi molto problematici dal punto di vista israeliano ma assolutamente necessari se vogliamo riportare indietro i nostri cari.
4 – Il fronte settentrionale. Una nuova guerra col Libano è solo questione di tempo, probabilmente scoppierà entro pochi mesi. In tal caso i danni che subirà Israele saranno molto maggiori di qualsiasi conflitto precedente. Dietro Hezbollah c’è l’Iran il cui progetto di destabilizzare completamente la regione è palese. Questo significa che le milizie sciite dispongono di armamenti molto più sofisticati e precisi di quelli usati da Hamas. Visto che lo scontro sarà a mio parere inevitabile è auspicabile che questa volta sia Israele ad attaccare per primo, chi prende l’iniziativa ha sempre più possibilità di successo rispetto all’avversario.
5 – Gaza, il giorno dopo. Per poter trasferire quante più truppe possibile verso il confine libanese Israele deve avere le idee chiare su chi dirigerà la striscia di Gaza una volta che Hamas sarà enormemente ridimensionato. La distruzione totale di Hamas non potrà mai accadere perché si tratta di un’ideologia e non di un singolo leader. Chiedetelo ai vari stati arabi più o meno moderati che non sono assolutamente in grado di estirpare le varie organizzazioni che ruotano intorno al mito del Califfato. A mio parere non esiste un’alternativa valida se non quella di rafforzare l’Autonomia Palestinese ed arrivare ad una situazione ibrida dove l’amministrazione civile passerà sotto l’egida di Abu Mazen e compagni mentre l’IDF avrà mano libera di intervenire militarmente ogni volta che ce ne sia la necessità. Praticamente la stessa situazione dei territori sotto il controllo palestinese in Cisgiordania.
6 – Interessi vs amore ed odio. Sia l’opinione pubblica israeliana sia gli ebrei della diaspora si sono trovati completamente spiazzati rispetto al comportamento a dir poco illogico delle numerose dimostrazioni succedutesi nelle piazze delle democrazie occidentali. Per quanto la situazione possa rivelarsi spiacevole e talvolta angosciante, è basilare guardare oltre le emozioni ed i sentimenti e cercare di arrivare al fattore principale che regola il comportamento sia fra noi singoli sia fra le nazioni: l’interesse politico. C’è una concreta possibilità di creare un fronte moderato che comprenda parte del mondo arabo ed Israele. Un accordo del genere comporta per forza di cose a dei compromessi ed a delle rinunce. Lo shock del 7 ottobre può trasformarsi in una grande opportunità, l’importante è comprendere che in questo momento esistono degli interessi comuni tali da permettere di realizzare un’alleanza del genere. Nessuno ci può garantire che questa occasione durerà in eterno.
7 – Politica estera fallimentare. Gerusalemme non è stata in grado di gestire una situazione che all’inizio era completamente a nostro favore. Da una completa condanna nei confronti di Hamas da parte di tutte le democrazie la situazione si è completamente ribaltata ed Israele si è trovata sul banco degli imputati del tribunale dell’Aia. Questa situazione Kafkiana è da collegarsi al punto 2, i ministeri israeliani stanno attraversando da diversi anni un processo di politicizzazione tale che tutti ruoli chiavi ricoperti da funzionari statali di provata esperienza siano oggi in mano a personaggi politici completamente inadeguati.
8 – Haredim. Nonostante i continui appelli a rimanere uniti in questo estremo momento di crisi, il settore ultra ortodosso, haredim in ebraico, continuano nella loro politica settoriale completamente avulsa dalla realtà. Le pressioni esercitate per legiferare delle norme atte a garantire in maniera legale un loro esonero permanente ed incondizionato dal servizio militare porterà ad una spaccatura molto più grave di quella ancora in corso riguardo alla riforma giudiziaria.
9 – Il ruolo delle donne nell’esercito. È uno dei pochi punti positivi di questi mesi. Le donne israeliane hanno tirato fuori tutta la loro grinta ed il loro valore per dimostrare una volta di più quanto sia indispensabile la loro presenza all’interno dell’IDF. Le prospettive a medio termine prevedono un prolungamento della leva obbligatoria e della riserva. Questo comporterà la necessità di una presenza sempre più influente della componente femminile. Soprattutto se non verrà risolto il punto precedente.
10 – L’antisemitismo è vivo e vegeto. Fino al 7 ottobre era ancora possibile minimizzare la sua influenza e relegarlo ad un fenomeno di costume legato al tifo calcistico ed a qualche altro avvenimento sporadico. La guerra in corso ha scoperchiato molto di più del mitologico vaso di Pandora ed ognuno di noi ha dovuto tagliare numerose amicizie reali o virtuali. L’antisemitismo è un sentimento irrazionale che ci accompagnerà fedelmente nel corso del tempo a venire, bisognerà farsene una ragione.
*Luciano Assin vive nel Kibbutz Sasa, al confine con Libano. Lavora come guida turistica in italiano.
Qui il suo blog: www.laltraisraele.it