di Aurelio Ascoli
A Seul proprio in queste ore si è concluso il vertice mondiale sulla sicurezza nucleare a cui hanno partecipato tutti i maggiori leader mondiali da Barack Obama a Hu Jintao. Si è parlato di impegno comune per il disarmo, di non-proliferazione delle armi nucleari e di utilizzo pacifico dell’energia nucleare. Si è parlato del riproporsi dei rischi alla sicurezza provenienti dal terrorismo nucleare; nonché della sicurezza delle centrali atomiche – ad un anno dalla catastrofe di Fukushima. Proprio su quest’ultimo tema è intervenuto il presidente del consiglio Mario Monti che ha sottolineato come sia necessario innalzare gli standard di sicurezza “per prevenire il verificarsi di incidenti a fronte di eventi naturali o di atti dolosi”. Monti ha sottolineato in particolare come sia opportuna “l’organizzazione coordinata ed efficiente di piani di intervento a livello nazionale, regionale e internazionale per fronteggiare le emergenze”; ha fatto notare inoltre che “si sta facendo strada l’idea di rafforzare le procedure internazionali di revisione con l’introduzione di visite periodiche di esperti indipendenti non più, come ora, facoltative ma obbligatorie, per verificare l’adeguatezza dei programmi nazionali e indicare i necessari miglioramenti”. “Il programma degli stress test che si stanno conducendo sui reattori nucleari presenti in Europa – ha detto – potrà fornire indicazioni molto utili ai fini del rafforzamento del regime internazionale per la sicurezza nucleare, con riferimento sia alla nuclear safety, sia alla nuclear security”.
Proprio in coincidenza con il vertice mondiale di Seul e in tema di sicurezza, proponiamo in anteprima l’articolo che Aurelio Ascoli, docente a riposo del Dipartimento di Fisica nucleare dell’Università di Milano, ha scritto per il Bollettino della Comunità Ebraica di Milano. Messe da parte le complicate formule del fisico, Ascoli osserva la questione del nucleare, e in particolare dei rischi del nucleare, da un punto di vista squisitamente ebraico.
Nucleare: il punto di vista ebraico
“Inclina il mio cuore e quello della mia discendenza ad amare e riverire il Tuo nome”, “disporrà il Signore il tuo cuore e quello della tua discendenza ad amare”, queste parole “non scompariranno dalla tua bocca né dalla bocca della tua discendenza né da quella della discendenza della tua discendenza”, “questa parola è buona per i nostri predecessori e per i nostri successori”, e si potrebbe continuare. In tutto l’insegnamento ebraico sono costanti l’impegno e la preoccupazione di assicurare alla progenie la stessa cura e la stessa attenzione che si assicura all’individuo. Questa distinzione tra l’Ebraismo e tutte le altre religioni è essenziale. L’Ebraismo non è solo per l’uomo, è per la discendenza, la famiglia, l’intero popolo d’Israele presente e futuro, la progenie non solo prossima ma anche remota.
Il neoministro dell’ambiente del Governo dei tecnici si è dichiarato, appena nominato, “non contrario al nucleare”. Poi si è diplomaticamente corretto, ma la voce dal sen fuggita fa affiorare, a meno di un anno dal referendum con cui gli italiani hanno per la seconda volta bocciato il nucleare, le sue genuine convinzioni. E a meno di un anno dall’irreparabile disastro di Fukushima, mentre la Società che gestisce la centrale distrutta dallo tsunami e il Governo nipponico sono ancora alle prese con problemi insolubili per cercare di contenere i danni irreversibili arrecati all’ambiente e alla popolazione, giungono, dall’Europa e dal mondo, segnali di una silente ripresa del nucleare. Sarkozy e Cameron stringono un accordo sul nucleare: Francia e Regno Unito non hanno mai interrotto i loro programmi. La Spagna rinvia la chiusura della vecchia centrale di Garona dal 2014 al 2019, e intanto progetta a Villar de Canas un deposito per scorie radioattive. Obama finanzia con fondi federali la costruzione di due nuove centrali nucleari, contro il parere del presidente dell’autorità federale sul nucleare, preoccupato dall’esperienza di Fukushima. La salita continua del prezzo del petrolio mette in ombra quell’esperienza non solo recente, ma con drammatici effetti tuttora in corso.
E qui viene il punto. I sostenitori del nucleare osservano che anche le fonti fossili di energia (carbone, petrolio e gas) danneggiano l’ambiente e creano vittime. Ma, a parte confronti quantitativi in termini di numero di vittime per chilowattora prodotto, decisamente a sfavore del nucleare, resta il punto fondamentale che le vittime delle miniere e dell’inquinamento atmosferico sono in questa generazione. Le esplosioni di Hiroshima e Nagasaki e il disastro di Cernobil dimostrano chiaramente che le radiazioni nucleari provocano morti, teratogenesi e malattie incurabili anche per molte generazioni a venire. L’uso dell’energia nucleare, con le tecnologie attuali, configura cioè un odioso e immorale baratto tra un nostro vantaggio energetico e il lascito di un problema insolubile alle future generazioni. Con quale diritto? Con quale riguardo per la nostra discendenza?
Io rifiuto la sbrigativa etichetta di antinuclearista. Sono ingegnere e sono fisico, ho passato una vita a sperimentare in laboratorio le proprietà dei materiali per uso nucleare. E sono convinto che lo sfruttamento pacifico dell’energia nucleare sia così importante, da meritare investimenti ingenti di ricerca e sviluppo. Ma quale nucleare? La tecnologia attuale, quella della cosiddetta “terza generazione avanzata” non è affatto sicura. E’ la generazione dell’EPR (European Pressurized water Reactor) francese e del corrispondente modello americano. La pretesa “sicurezza“ di questi reattori riposerebbe su due fattori. Primo: sono raffreddati ad acqua pressurizzata in circuito chiuso, che cede il proprio calore in uno scambiatore all’acqua del circuito secondario, trasformando quest’ultima in vapore che alimenta le turbine. L’acqua che lambisce le barre radioattive, all’interno del reattore, non esce mai all’aperto, perciò non inquina l’ambiente. Ma questo è vero solo quando il reattore è nuovo, e valvole, giunti e guarnizioni sono perfetti. Chi può garantire questo per i sessant’anni di vita del reattore, quanti ne occorrono per assicurarne l’economicità? In caso di perdite o trafilature, non è possibile riparare il circuito primario, quello sì, inavvicinabilmente radioattivo. Secondo: costruttori e gestori parlano come se l’incidente estremo, la temuta fusione del nocciolo del reattore, dove hanno sede le barre di combustibile soggette alla reazione nucleare, fosse un evento remoto. Ma negli ultimi quarant’anni si sono verificate ben dodici fusioni del nocciolo, in giro per il mondo (quattro negli Stati Uniti, due in Francia, una in Scozia, una in Germania, una in Ucraina e tre in Giappone), alla media di quasi una ogni tre anni. Non poi così eccezionale. Per contenere i devastanti effetti di un’eventuale fusione del nocciolo, i reattori di terza generazione “avanzata” hanno un doppio involucro di cemento armato, atto a trattenere i materiali fusi, e sono progettati in modo che in tal caso il materiale fissile non raggiungerebbe la criticità, cioè la reazione nucleare si spegnerebbe automaticamente. Ma anche a reattore spento, la radioattività susseguente alla reazione convoglia ancora circa il 10% della potenza del reattore, e questa potenza residua non è controllabile né governabile: decade da sola, ma in migliaia di anni. A Cernobil gli elicotteri ogni vent’anni devono colare altro cemento sui reattori “spenti”, perché la colata precedente si è polverizzata ed è preda del vento. A Fukushima non hanno trovato di meglio che raffreddare con acqua di mare, inquinando falde acquifere e quello stesso mare costiero da cui i giapponesi traggono pesce e alghe per la loro alimentazione.
Poi c’è il problema dell’eliminazione delle scorie radioattive, anch’esso tuttora insoluto. Chi sostiene che le scorie si mettono in un buco per terra, trascura colpevolmente il fatto che la Terra è un pianeta sostanzialmente liquido, la cui crosta “solida” (in realtà costituita da zolle continentali contigue, galleggianti in lento continuo movimento sul magma fuso) è in proporzione più sottile del guscio di un uovo. La cronologia dei terremoti e delle alluvioni nel nostro Paese (Messina e Reggio Calabria 1908, Firenze 1966, Belice 1968, Friuli 1976, Irpinia 1980, L’Aquila 2009, Genova e 5 Terre 2011) prova che terremoti e alluvioni sono casuali, ma ricorrono con regolarità, e con essi dobbiamo imparare a convivere. Costruire centrali nucleari di terza generazione “avanzata” e depositi sotterranei di scorie radioattive sarebbe semplicemente criminale. L’unica soluzione onesta è studiare ancora la tecnologia nucleare, con programmi e investimenti di ricerca adeguati, finché saranno risolti i due problemi tuttora insoluti: la sicurezza dei reattori e l’eliminazione delle scorie radioattive, prodotte non solo durante il normale funzionamento dei reattori, ma anche, e soprattutto, quando si smantellano le centrali alla fine della loro vita. Come? Sviluppare reattori di quarta generazione, verificarne l’effettiva sicurezza e, se insufficiente, scoprire nuove leggi della Fisica e inventare nuove tecnologie più sicure. Questo è certo un programma a lungo termine: i primi prototipi dei reattori di IV generazione non saranno pronti fino al 2050. Nel frattempo, le fonti rinnovabili come il solare e l’eolico offrono risultati timidi e per ora insufficienti, ma promettenti, e incominciano a prendere piede come realizzazioni industriali.
Lungo termine, sì: lontano nel tempo. Ma lontano per chi? Non per noi ebrei, che viviamo, secondo i nostri insegnamenti, in una prospettiva generazionale, così ben rappresentata dall’intensa berachà del nonno ai nipoti in questa fotografia davanti al Muro Occidentale. Ma se lasciamo in eredità ai nostri nipoti reattori pericolosi e scorie radioattive, che berachà è?