C’è molta confusione nell’aria. E c’è la sensazione che qualcosa non stia andando per il verso giusto. L’accavallarsi di dichiarazioni e controdichiarazioni, proclami più o meno ideologici, veti incrociati e dichiarazioni di fedeltà, rischiano di portare gli ebrei italiani in un vicolo cieco.
Che si tratti del riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, del clericalismo, del laicismo, della politica estera, della politica israeliana, della maniera più efficace di opporsi ai neofascismi e ai negazionismi che continuano ad ammorbare questa Europa si respira continuamente unaria di rissa, di contrapposizione. E, come se non bastasse, cè la sgradevole sensazione che qualcuno speculi sulle differenze che esprimono gli ebrei italiani. Il guardonismo dei media, sempre ansiosi di raccontare a modo loro cosa sono e cosa fanno gli ebrei italiani, la tendenziosità di alcune fazioni politiche che hanno bisogno di rimettere in riga i propri schieramenti, fanno il resto.
E non dobbiamo dimenticare anche lesibizionismo, la smania di apparire di alcuni, che non stanno nella pelle per intervenire con la propria sigla dalle prime pagine dei quotidiani nazionali.
Ma qual è il problema degli ebrei italiani?
Temo che possa essere identificato in una smania di dichiarazioni, in una sovrabbondanza di opinioni.
Se non vogliamo rischiare di diventare i pappagallini ammaestrati di questo o di quello, dovremmo forse capire che in quanto minoranza che vive nella società italiana da oltre due millenni il nostro ruolo non è fornire opinioni a gogo su tutto quello che ci capita a tiro.
Il nostro compito è quello di testimoniare i valori della vita e della cultura ebraica e di dimostrare come questi siano sempre attuali.
Certo, anche su questi valori è lecito e auspicabile il massimo del pluralismo. Certo, le differenze di opinioni non ci hanno mai impedito di stare assieme e di costituire forse lunica realtà della Diaspora che è stata capace di preservare la propria unità in centinaia e centinaia di anni di storia. Ma cerchiamo di non esagerare. Non siamo obbligati ad avere (e men che meno a manifestare) opinioni su tutto. Non siamo obbligati a fare il grillo parlante. E soprattutto, abituiamoci a intervenire autonomamente, a scegliere i nostri argomenti, a lanciare la palla per primi. Non aspettiamo di essere chiamati in scena per fare da spalla a questo o a quello.
Siamo tenuti ad essere noi stessi e a mostrare quanto la libertà di essere noi stessi, faticosamente conquistata in anni di persecuzioni e di incomprensioni, sia utile, sia necessaria a tutta la società.
Ricordiamocelo, quando da una parte o dall’altra sollecitano la nostra opinione. L’ultimo numero del settimanale Panorama, per esempio, costituisce una lezione magistrale su quanto sta accadendo. A fronte del cortese diniego da parte dell’Unione delle comunità ebraiche di aggiungere commenti su commenti sulla delicatissima questione del riconoscimento delle coppie di fatto, il giornale, lungi dal prendere atto della realtà, aggiunge in proprio supposizioni del tutto campate per aria. Se il pappagallino si rifiuta di parlare, bisogna pure che qualcuno rimedi. Limportante è che gli ebrei svolgano la propria funzione e facciano la propria parte. Lo spettacolo deve andare avanti, no?
Non lasciamoci strumentalizzare. Linflazione dei punti di vista e gli anatemi incrociati che ne conseguono rischiano di portarci molto lontano. E di farci finire in una strada senza uscita.
Amos Vitale (amosvitale@mosaico-cem.it)