Perchè nessuno parla dei missili di Hamas su Israele?

Opinioni

Da una parte il rumore assordante di 150 missili lanciati da Gaza su Israele nell’arco di una settimana; dall’altra, il silenzio dei media, altrettanto assordante, su questi fatti.

Nella scorsa settimana sono stati sparati da Gaza su Israele almeno 150 razzi; i primi lanci in realtà sono cominciati il 16 giugno dalla penisola del Sinai. Due giorni dopo, tre terroristi, con base sempre nel Sinai e affiliati di Al Quaeda, sono entrati a Gerusalemme e hanno aperto il fuoco contro alcuni uomini impegnati nei lavori di costruzione della recinzione lungo il confine Israele-Egitto. Uno di essi è stato ucciso. Nel corso della giornata, poi le squadre di Hamas hanno cominciato a sparare su Israele. Negli ultimi giorni ci sono stati anche scontri tra palestinesi (soprattutto giovani e bambini) ed esercito israeliano in Cisgiordania, intorno a vari insediamenti israeliani, anche vicino alla città di Ramallah.

Di tutto questo però, fa notare Ronn Torossian – fondatore e CEO della 5WPR di New York e autore di un blog su “The Times of Israel” – i giornali occidentali non dicono nulla, o se lo dicono, lo fanno in maniera faziosa. Sui giornali, quel che troviamo è la notizia dei morti palestinesi, 17 in totale quasi tutti appartenenti a cellule terroristiche, provocati dai raid israeliani in risposta al lancio dei missili.

La questione è sempre la stessa, e sistematicamente riemerge quando le armi di Hamas tornano a farsi sentire: i missili lanciati di sabato da Gaza sulle scuole e le fabbriche israeliane, non sono una notizia – non per i media occidentali per lo meno, scrive Ronn Torossian. “Diventeranno notizia quando gli israeliani reagiranno… Proviamo anche solo per un momento a pensare cosa avrebbero scritto i giornali se a lanciare 150 missili fossero stati gli Israeliani”.

In generale, sembra voler sottolineare Torossian,  esperto di PR, l’informazione su Israele diffusa dai media occidentali è quanto meno parziale, comunque incompleta.

Cita a questo proposito, anche il silenzio dei media americani sul grande murales apparso di recente a New York. In questo murales vengono messi a confronto i diritti degli omosessuali in Israele con quelli nei paesi arabi. Un’immagine di due uomini che si tengono per mano e una domanda: “chi vorresti al tuo matrimonio?” Lo schema con alcuni dati suggerisce la risposta. In Israele i gay possono sposarsi, adottare bambini, servire nell’esercito. In Siria l’omosessualità è illegale, in Iran punita con la pensa di morte. Nessun “Gay Pride” si tiene in Egitto, a Gaza, o in Giordania. Ma allora, si chiede Torossian, perchè i grandi media internazionali non danno anche questo genere di notizie su Israele e i paesi arabi?

Interessante il caso del giovane musulmano inglese, citato da Torossiam, che oggi si definisce un “fiero sionista”.  Kasim Hafeez sostiene che in Gran Bretagna la gente non sa nulla di Israele – “i giornali, dice, parlano di Israele sempre con un taglio negativo; sono prevenuti verso Israele”.

Ronn Torossian cita anche Nathan Thrall, autore di una rubrica del New York Times dedicata alla politica internazionale, nella quale prefigura nuove violenze contro Israele: “Israele ha perso la chance di arrivare ad un accordo con i palestinesi di Abbas; i palestinesi a loro volta hanno perso la speranza di ottenere uno Stato”. Stando così le cose, osserva Thrall, “è inevitabile un nuovo scontro armato, una terza intifada”. Eppure, sottolinea Torossian, non una volta Thrall ha biasimato i palestinesi per le inevitabili violenze che si verificheranno nella regione.

“La parzialità dei media contro Israele conduce agli ebrei morti – conclude Torossian, riprendendo Zeev Jabotinsky- e spetta a chiunque si occupi del vivere civile, a chiunque sappia distinguere il bene dal male, non restare in silenzio. Noi tutti dobbiamo contribuire a migliorare l’immagine pubblica di Israele e aiutarlo in qualsiasi modo possibile con le pubbliche relazioni”.