di Paolo Salom
“Sentiamo la vostra mancanza, ebrei”. Questa la scritta apparsa in Polonia sulle facciate di alcuni palazzi. Liberi di crederci o no, i muri polacchi sono oggi sempre più utilizzati per raccontare una verità che – in un Occidente attraversato dalla Shoah – appare paradossale, se non addirittura un insulto. L’episodio dei graffiti apparsi qua e là a Varsavia potrebbe facilmente essere archiviato come un gesto casuale, uno scherzo di cattivo gusto. Ma non è proprio così.
La verità è che la nostalgia per un passato che non c’è più – e che nemmeno potrà tornare – è sempre più forte e diffusa, non soltanto in Polonia: anche in Ungheria, in Ucraina (a Est), in Spagna e Portogallo (a Ovest) i “festival ebraici” sono sempre più frequenti e affollati. E non importa se nessuno, né tra gli organizzatori né tra i visitatori, sia ebreo: come spiega Jonny Daniels al Jerusalem Post in un recente articolo, “questi eventi sono una sorta di terapia collettiva”.
Strani tempi stiamo vivendo. Jonny Daniels, britannico, è il fondatore di “From the depths”, un’associazione che promuove momenti in ricordo dell’Olocausto in Polonia. Manifestazioni che non hanno nulla a che vedere con il kitsch o il cattivo gusto: per lui si tratta di raccontare ciò che è avvenuto, nel Paese che più è stato teatro dell’annichilimento di un popolo pacifico e operoso. Che certo non si faceva notare per assalti o attentati terroristici. E, forse, la “nostalgia degli ebrei” fa parte di una strategia per affrontare un mondo sempre più difficile da comprendere. Dove la violenza colpisce all’improvviso e non risparmia inermi civili impegnati nella vita quotidiana: l’estate appena trascorsa ne è un tragico esempio. Non azzardiamo oltre.
Ma ci chiediamo: perché mai i residenti di Radzanów, cittadina a poco più di cento chilometri da Varsavia, dove fino al 1939 vivevano non più di 500 ebrei, dovrebbero imbarcarsi nell’organizzazione di un “finto-vero matrimonio hassidico” con tanto di uomini in tallet katan e donne con la parrucca, una chuppà ricostruita fin nei minimi particolari, così come la ketubbah firmata al suono di melodie yiddish di fronte a un (finto) rabbino? Oggi a Radzanów non vive più nemmeno un ebreo. Quelli portati via dai nazisti non sono mai più tornati. Dunque, è sempre il Jerusalem Post a raccontarlo, per ricostruire fedelmente la cerimonia, gli abitanti si sono rivolti a Teresa Wroñska, un’attrice del Teatro Ebraico della capitale polacca, e addirittura al Polin Museum: un video li mostra all’opera con tanto di barbe finte e kippoth.
Terapia di gruppo? Una messinscena catartica che lava e candeggia una memoria insudiciata? «Volevamo ricordare tutti quegli ebrei di prima della guerra che vivevano una vita pacifica scandita da feste e ricorrenze», ha spiegato al quotidiano in lingua inglese di Gerusalemme Agnieszka Rychcik-Nowakowska, responsabile dell’evento. In questo inizio d’anno 5778, ci sono Paesi occidentali che, come la Polonia, riescono a sorprenderci. Vorrei così mettere le mani avanti, e prevenire l’eventuale nostalgia araba o iraniana per un Israele che “nei prossimi 25 anni” potrebbe dissolversi – come ha promesso il comandante dell’esercito iraniano -. Spiace dirlo, gli ebrei e gli israeliani, di certe nostalgie non sanno che cosa farsene.