Pride 2024: tra inclusione e contraddizioni (etiche) e politiche. Una opinione

Opinioni

di Gianluca Celentano
Si sta verificando una situazione molto imbarazzante con l’edizione del Pride 2024, che apre le manifestazioni di giugno sull’uguaglianza dei generi nelle principali città italiane; assolutamente fuori programma e non prevedibile. Analizzando il quadro politico sull’argomento, emerge che il governo Meloni non ha firmato la lettera di condanna per le discriminazioni alla comunità LGBTQI+ imposte in Ungheria da Orban, mentre il documento congiunto, promosso dagli Stati Uniti, è stato sottoscritto da ben 37 delegazioni diplomatiche occidentali.

Un clima di insicurezza

Un’altra preoccupazione riguarda la percepibile mancanza di sicurezza del popolo LGBTQI+ ebraico, che preferisce disertare una manifestazione teoricamente di assoluta neutralità e inclusione. Raffaele Sabbatini, presidente di Keshet, il Gruppo Ebraico LGBTQ+, illustra chiaramente il clima di ipocrisia che si cela dietro le maschere dell’antisemitismo. “Già a novembre – spiega Sabbatini – abbiamo iniziato a denunciare le prime manifestazioni di antisemitismo all’interno del movimento LGBTQ+, ricevendo risposte evasive. Addirittura l’8 marzo c’è stata una scissione nel movimento femminista sulla condanna degli stupri di massa del 7 ottobre perpetrati da Hamas”.

Per quanto riguarda il Pride di giugno, l’organizzazione Keshet ha cercato di capire se la comunità ebraica potesse partecipare in sicurezza alla manifestazione, ma si è dovuta arrendere; infatti, al Bergamo Pride del 15 giugno, le bandiere o i simboli israeliani non erano graditi.

Un tifo poco inclusivo

Tutto ha avuto origine all’alba del 7 ottobre, durante la Festa della Natura, iniziata nei pressi di Kibbutz Re’im, vicino alla Striscia di Gaza, dove 260 ragazzi israeliani sono stati massacrati da Hamas. La risposta militare del premier israeliano Benjamin Netanyahu non si è fatta attendere: è una guerra. A cadere sono migliaia di palestinesi, fra cui donne e bambini, oltre ai membri di Hamas, e milioni sono gli sfollati. La reazione di Netanyahu ha ricevuto anche un dissenso internazionale, nonché interno al suo paese, ma è una crudele guerra scatenata da ambedue le parti, anche se la miccia è stata accesa da uno solo.

Opposizione con idee diverse

Le reazioni in Italia sono divisive, fra chi condanna Israele e chi chiede subito due Stati e due popoli, propendendo per la Palestina. Questo clima ha messo sotto i riflettori, in un momento storico dove il ragionamento personale è calpestato dal tifo, il popolo di Israele e persino le organizzazioni LGBTQ+. Ho contattato un organizzatore del Pride Milano, che avrà luogo sabato 29 giugno, ponendo alcune domande sullo spazio al Pride per i pro Palestina, e la risposta faziosa quanto sfuggente è stata un riferimento al primo articolo della dichiarazione dei diritti dell’uomo, sulle libertà confessionali e di manifestazione. Quindi nessun divieto almeno ufficiale, semmai una conferma diplomatica per smarcare un problema osservando la linea politica della manifestazione, che ricordiamo, non nasconde di avere connotazioni politiche. Quindi gli ebrei non sfileranno sentendosi bersagli, anche se qualche esponente del mondo politico e giornalistico parteciperà.

La cultura dell’Islam

Il nodo cruciale, che trasuda di ipocrisia, è che l’Islam non è mai stato una cultura pro- gay, vedendo l’omosessualità come una perversione, una malattia o peggio un crimine punibile con l’uccisione; Israele invece, è una vera democrazia aperta a tutte le confessioni e al mondo LGBTQ+. Centra il punto Ivan Scalfarotto su Il Riformista del 22 giugno, che titola: Un Pride che discrimina non è un Pride”.

 

(Nella foto, un’immagine del Bergamo Pride, dove “non saranno gradite bandiere israeliane o inneggianti alla simbologia connessa allo stato di Israele”. Fonte: Prima Bergamo)